lunedì 28 dicembre 2009

E il pranzo non era nemmeno un granché...



Se solo avessi capito prima che dipendeva tutto da me, avrei agito diversamente. Perché porsi dei limiti? E' scoraggiante non credere in se stessi, ancora più di vedere che gli altri fanno lo stesso. L'unico modo per ricredersi è dimostrarsi di non avere limiti. Io fin'ora me ne ero posta. Spesso li ho difesi, quei limiti, nascondendomi dietro barricate di giustificazioni e mi lasciavo aiutare, non capisco più se coscientemente o no, ad accatastare sacchi di sabbia e scuse per rafforzare il mio giaciglio. In fondo era comodo così. Poi è arrivato il vento. Ho strappato quei sacchi e la sabbia è volata via. Come le scuse.

Ecco che mi son decisa a fare una cosa che rimandavo da troppo, a causa della mancanza di compagnia, della mia inesperienza con le autostrade, al fatto che la mia è pur sempre un'auto un po' datata e poco sicura (quando l'hanno costruita l'elettronica e gli acronimi non andavano ancora di moda). Ma cosa principale, rimandavo perché richiedeva un qualche tipo di impegno. Invece ho percorso 200 km per andare a pranzare in un paesino abbarbicato sui Nebrodi e altri 200 km per essere a casa in orario per il the delle cinque servito in ritardo di un ora. In solitaria. Nel senso che nemmeno Lemmy ha potuto tenermi compagnia perché l'autoradio per protesta ha smesso di funzionare. Mi avesse almeno detto l'oggetto della protesta avremmo potuto tentare di raggiungere un accordo, ma quando cercavo il dialogo con lei, mi rispondeva ogni volta con una voce diversa. L'ho fatto. Non è che si tratti di niente di epocale, nessuna svolta significativa, niente passaggio cruciale della mia esistenza, ovviamente. É solo una piccola cosa, ma lo è ora che la posso accantonare nel cesto delle "cose già fatte". Adesso che posso dire: "Beh, era tutto qui? e dire che visto da lontano pareva una evento così complicato da gestire". Ma per capire le cose e farsi un idea di come affrontarle bisogna vederle da vicino. E per vederle da vicino non intendo attrezzarsi di un teleobiettivo o di un binocolo; serve vederle fisicamente da vicino, sbatterci contro se serve anche a costo di ritrovarsi con qualche livido. E tu, cesto delle "cose già fatte", forse è meglio se inizi a preoccuparti.


Grazie a Chourmo per la foto. ^_^

venerdì 11 dicembre 2009

Quelli che... . Io no.

Un giorno una persona mi disse una frase che mi fece pensare: "accidenti..che cosa triste..ma davvero si può crederlo?". Lo stupore e l'espressione inebetita materializzatasi sul mio volto durarono poco. La mia stima per quella persona negli ultimi tempi aveva già subito un crollo secondo solo a quello della borsa nel '29, quindi la cosa non poteva turbarmi più di tanto. Pochi giorni dopo, sull'onda dei soliti discorsi esitenziali, un'altra persona dichiarò più o meno di credere allo stesso concetto. Qui rimasi a riflettere sulla vicenda un pò di più, non potendo trattenermi dal pensare di nuovo che fosse davvero un modo triste di vedere la vita. Al terzo interlocutore che affermò "nella vita bisogna accontentarsi", sono esplosa. Dopo aver ripulito per bene la mia stanza, son tornata a riflettere. Qualcosa non andava. E soprattutto mi colpì il fatto che ognuno aveva tirato in ballo questa teoria di sua spontanea volontà. Non c'era stato alcun accenno da parte mia. E la cosa peggiore è stato sentirlo dire all'ultimo dei tre, la persona che ritenevo e continuo a ritenere, più degna di stima.
La felicità sta nell'accontentarsi, mi hanno detto. Immagino che a vederla da un certo punto di vista potrebbe essere condivisibile: se si continua sempre a cercare altro, quello che si ha non basterà mai e si sarà sempre insoddisfatti. Ma (perché io ci vedo un ma) il piacere di raggiungere un obiettivo non si vede valutare? L'energia che potremmo riuscire a tirar fuori per raggiungere qualcosa, le idee che dovremmo inventarci, un pò di sana adrenalina da competizione e la soddifazione di avercela fatta, dove li mettiamo? E pur togliendo l'ultimo passo, ovvero la soddisfazione, perché ovviamente ci può stare di non riuscire a fare ciò che ci eravamo prefissati, il resto non conta? Una eventuale sconfitta non vale il tentativo di provarci? E il dispiacere di una sconfitta può essere tanto difficile da sopportare da non poter correre il rischio di provarci pur sapendo che il piacere della vittoria può essere immenso? Ed ancora... come faccio a sapere "quando" devo accontentarmi? Non trovo molte risposte. L'unica che mi viene in mente, ma più che una risposta è una motivazione alla scelta di accontentarsi è la seguente: ci si accontenta quando si ha bisogno di qualcosa. Se si ha bisogno di lavorare, ci si accontenta di un lavoro sottopagato. Ma una giustificazione del genere mi pare impossibile da applicare ad ogni sfaccettatura della nostra vita. Accontentarsi.. in tutto? Significherebbe che abbiamo bisogno di tante cose nella vita. Io invece penso che i bisogni nella vita siano quelli base.. quelli che ci permettono di sopravvivere. Per il resto è bello sentire di aver voglia di qualcosa di più. Non di averne bisogno. Se si vuole qualcosa, una cosa specifica, non ci si può accontentare della copia scadente. Se si vuole qualcosa, ci saranno necessità e motivazioni particolari che renderebbero l'accontentarsi di un'altra cosa, solamente simile al nostro obiettivo, ben più deludente del non riuscire a raggiungere l'oggetto del nostro desiderio. Tuttavia ho preso in considerazione una variabile da non sottovalutare: i 3 personaggi di prima, quelli che si accontentano, hanno accumulato sulle spalle alcuni lustri in più rispetto a me. Non so quanto questo possa incidere, se le delusioni accumulate nel tempo facciano diventare meno assetati di bellezza e felicità. Non lo escludo. E questa volta l'espressione inebetita e lo stupore impiegheranno qualche minuto in più ad andare via.

lunedì 9 novembre 2009

12m+



Nei miei ricordi aveva la forma di una casetta. Bianca, col tetto spiovente, rosso. La prima casetta che disegnano tutti i bambini, ed ora capisco come mai, visto che ormai da generazioni viviamo in impersonali parallelepipedi dal tetto noiosamente piano e di casette così se ne vedono solo nella pubblicità del mulino bianco. La casetta però aveva un tetto particolare, con 4 grossi fori: uno quadrato, uno triangolare, uno circolare ed uno cruciforme. Ed ovviamente c'erano anche le formine da inserire nei fori, possibilmente di colore rosso, giallo, blu e verde. Non nascondo che le volte che mi è capitato di ritrovare un giochino simile, di recente, ho provato una certa soddisfazione nel dimostrare a me ed al bimbo proprietario del gioco, quanto fossi brava ad inserire al primo tentativo la formina nel foro adeguato. Troppo facile. Sarà mica che quel "12/25+" che indica la fascia d'età a cui è dedicato il gioco, indichi i mesi e non gli anni? In ogni caso, gioco da ragazzi, come si usa dire. Ma quello è un gioco per bimbi, non per ragazzi. Non per niente questo tipo di gioco, si chiama gioco educativo. Dubito che un cucciolo di uomo della fascia di età per cui è stato concepito quel gioco, riesca a risolverlo al primo tentativo. Non me ne intendo, ma immagino che quando si siano messi solo poco più di una dozzina di mesi tra il proprio presente e ed il giorno in cui si è nati, il modo di percepire il mondo o anche solo la camera che ci sta intorno siano ancora molto primordiali e approssimativi. Per un bimbo non sarà così ovvio che la formina circolare non possa entrare mai e poi mai nel foro triangolare. Come fa a saperlo, l'ignaro pargoletto? Deve provare e riprovare, finché, forse per caso, forse per errore, forse per intuito, deciderà di cambiare foro, azzeccando quello giusto. Probabilmente la scoperta sarà così inaspettata da non essere subito registrata. Probabilmente alla sessione di gioco successiva, la stressata formina circolare si ritroverà a cozzare senza tregua contro un altro foro, quello quadrato magari. Nel frattempo l'insolubità del gioco potrebbe annoiare il
giocatore. Perché il quel momento non ha ancora i mezzi per venirne a capo coscientemente. Quindi nel frattempo, il pargoletto potrebbe decidere di dedicarsi ad altro, ad esempio ad un inutile ma al contempo affascinante mazzo di chiavi colorate. Rossa, gialla e verde, assicurate ad un cerchietto bianco. Magari la passione per quelle chiavi durerà il tempo necessario per dare al bimbo il tempo di acuire le sue percezioni. E ben presto quel semplice gingillo potrebbe stancarlo. Quasi quasi si potrebbe riprovare con il rompicapo a forma di casetta. Stavolta la memoria è più solida e la formina tonda rassomiglia troppo al foro circolare per non provare subito ad inserirla lì. Ecco.. io gioco è fatto.
La casetta con cui stavo giocando io ha ben più di 4 fori sul suo tetto, e le differenze tra i fori non sono macroscopiche. Forse mi sono stancata di provare a capire dove inserire questa stramaledetta formina dal colore indecifrabile e dalla forma indefinibile. Al momento non escludo nemmeno che per qualche inspiegabile errore, mi abbiano dato una formina che non corrisponde a nessun foro. Oggi prendo le chiavi, quelle della macchina nera. Al gioco della casetta ci ritornerò. Poi.


giovedì 15 ottobre 2009

MD


Millecinquento chilometri in trecentosessantacinque giorni. Ipotizzo che il geco a cui ho subaffittato il mio terrazzino in cambio di una caccia spietata alle zanzare, percorra più chilometri nello stesso arco di tempo. Tra l'altro il geco non fa nemmeno un gran lavoro, dovrei aumentargli l'affitto, ma questa... è un'altra storia (sono fan di Lucarelli, confesso). Dicevo, 1.500 km/anno, è stata la media percorrenza della mia auto negli ultimi anni. Pur considerando che l'auto in realtà la uso poco, il motivo di così tanta parsimonia dell'adorato mezzo meccanico era dovuto ad altro: adorazione. Si perché c'è stato un anno in cui ho passato più tempo in garage a lucidare la filante auto assemblata ad Hiroshima, di quanto tempo ne abbia passato seduta al volante. Ne sono quasi certa. Fiera della sua splendida forma, degli anni portati benissimo e celati anche grazie ai frequenti lifting e trattamenti di bellezza. Ma qui parliamo di effimero appagamento della vista. A guardala soffocata dentro quel garage, stretta tra scatoloni di mattonelle ed antenati di computer e palmari conservati per chissà quale simpatia per l'obsoleto, non si poteva nemmeno ammirarla per bene. E rischiava di diventare anch'essa un cimelio, conservato in attesa di evolversi da oggetto datato ad auto d'epoca. Puntualmente, le rare volte in cui concedevo alle strade l'onore di veder sfilare quest'oggetto di venerazione, capitava anche di subire dell'incuria altrui. Un graffietto sullo sportello o una mamma distratta al volante che al semaforo rosso lascia scivolare l'auto fino a toccare l'immacolato paraurti. Niente di che. Ma tanto bastava a volte per farmi andare in tilt. Ricordo quando, scoperto un segnaccio subito attribuito alla sbadataggine dell'addetto alla pompa di benzina, sono riuscita a tirar fuori una rabbia assolutamente ingiustificabile e incondivisibile. Anche se così non pensavo, quel giorno. In questo delirio di cure amorevoli però, mi ritrovavo un'auto esteticamente perfetta ma che non faceva quello per cui era stata creata. E non solo.. l'inutilizzo non la proteggeva ugualmente dallo scorrere del tempo. E me ne resi bene conto quando rimasi bloccata a Valdesi col pedale della frizione svenuto e quelli che erano in coda dietro di me al semaforo ormai verde che cercavano di tirarmi su il morale intonando coi clacson una canzoncina che ammetto ancora oggi di non aver decifrato. Però apprezzai molto la solidarietà. Poi è successo qualcosa. Non so bene quando e perché. Probabilente lo so, ma non starò qui a spiegarlo (questa...è un'altra storia). Oggi la mia auto, per quanto in splendida forma, fa bella mostra di qualche piccolo graffietto (solo uno procurato da me...giuro!Automobilina mia..te lo giurooooo!), di una carrozzeria non splendentissima e anzi decorata da qualche goccia di resina, del tessuto del sedile che inizia a cedere sotto lo sfregamento dei rivetti dei jeans, dei sempre più numerosi scricchiolii. Segni di cui oggi vado fiera. Segni di una vita vissuta. Perché mi piace guardala alla luce del sole e non illuminata dagli itterici neon del garage. Perché mi diverte guidarla, perché adoro quella leva del cambio corta e precisa (tranne quando la retromarcia a freddo decide di non entrare.. e neanche la prima a freddo collabora molto ora che ci penso), perché quasi preferisco non accendere la radio ed ascoltare il suono del motore e dello scarico. Adesso non le risparmio strade allagate o trazzere dissestate. E se guadagnera qualche cicatrice per via di una scelta troppo azzardata, poco importa. Potrò dire fieramente che se l'è procurato facendo quello per cui esiste.


p.s. Non sono convinta di essere mentalmente più sana di prima ovvero di quando passavo ore a lucidarla. Ho solo cambiato modo di esternare la mia eccentricità.

venerdì 9 ottobre 2009

Intitolato (Nel senso di senza titolo. I titoli o mi arrivano di getto o non c'è niente da fare)


Niente curve. Noiosa.
Niente imprevisti. Sicura.
Non la sento molto mia, ma è così semplice che chiunque potrebbe adattarsi a percorrerla.
Perché non dovrei provarci io?
Perché rischio di annoiarmi?
Perché senza incognite non c'è gusto?

Ottime motivazioni. Ma ne ho di altrettanto buone per provarci lo stesso. Perché seppure non sarà quella che deciderò di percorrere (non riesco a dire "per sempre") a lungo, aspettando di scegliere la Mia o meglio ancora di spianarne io stessa una nuova mi permetterà di avanzare un pò. Il tempo passa anche se io resto ferma; studiare teoricamente come si fa a camminare può servire ma senza alzarsi sulle proprie gambe è impensabile rendersi conto se la teoria è davvero così simile alla pratica.
Avanzare su una strada pianeggiante e dritta potrà essere alienante e tedioso tuttavia sono pur sempre convinta che lo sarà meno che star immobili a fissare il vuoto.
E poi ho Yukino che mi tiene compagnia.


p.s. Tengo a precisare che Yukino non è l'amico immaginario.

giovedì 17 settembre 2009

Caos

Ho bisogno di caos. Non semplice disordine. Non perché mi serva per confondermi o per confondere qualcun'altro. Anzi mi serve per fare ordine. In me. Voglio che le cose trovino un loro spazio da sole. Voglio scoprire dove preferisco conservare le matite. Voglio capire dove mi viene più comodo tenere il pc. Voglio accorgermi che il posto perfetto del telecomando è esattametne lì, ben nascosto tra i cuscini del divano, e che per trovarlo mi serve poggiarci sopra il fondoschiena. Voglio avere un mio modo di preparare l'insalata di riso. Voglio un mio modo di ripiegare i vestiti o scegliere di non piegarli e basta; un mio modo di scegliere il bagnoschiuma; un mio modo di concepire tutto. Basta essere un surrogato, costretto a seguire gusti, abitudini altrui. Voglio poter essere me, e me soltato in ogni minimo gesto. Voglio agire d'istinto. Voglio essere l'unica a cui giustificare, anzi, motivare le mie scelte, anche se si tratta della cosa apparentemente più insignificante. Sono stanca. Mi manca spazio. Mi manca l'aria. Mi manca essere me.

mercoledì 26 agosto 2009

Nuove conoscenze.

-Ho deciso di partire.
-Ma che bello! Sono contento per te! Dove andrai?
-Ovunque... io e la mia macchina.. inarrestabili. Nessuna destinazione precisa, vado dove mi porta la strada. Voglio conoscere un sacco di persone, gente di ogni paese, di ogni cultura, di ogni credo... Voglio vedere come vivono gli altri.
-Wow... Ma, il fatto che non guidi da 5 anni? E che non sei mai voluto entrare in autostrada? E che hai venuto l'auto perché temevi la rubassero... Come farai?
-Uffa..sempre lì a cercare il pelo nell'uovo! Ne comprerò una, andrò per strade secondarie.. niente traffico, meglio no? Certo che nonostante tu sia un amico immaginario, la tua logica concretezza arriva a livelli insostenibili, a volte.
-Che vuoi farci.. immaginario si, ma sono pur sempre un amico. Ehi, non rispondi al telefono? É già la seconda volta che squilla
-ma sei scemo... Se è qualcuno che vuole invitarmi ad uscire?! Stasera c'è la nuova serie di Lost in tv.
-mah...eh eh.. no scusa.. e tutti i tuoi progetti di conoscere gente, persone nuove... e poi non esci per guardare la tv...
-Uhm.. Ci sono tre personaggi nuovi in questa serie....
-ah.......

mercoledì 12 agosto 2009

Dettagli

- Tu ce l'hai un soprannome?
- Veramente no..
- Io si! Da ieri! Me l'hanno affibbiato i miei amici
- Ma dai!!! Fighissimo
- Ehhhh... lo so. Da una vita volevo un soprannome tutto mio, studiato per me, cucito addosso a me. Finalmente oggi ce l'ho.
- Cavoli... come ti invidio.. pure io ne vorrei uno.
- Tranquillo.. vedrai che un giorno i tuoi amici si accorgeranno di qualche tua caratteristica o di qualcosa in cui sei davvero bravo e che ti troveranno un soprannome ideale. Tipo "schizzo" da schizofrenico o "Psycho", oppure...
- Ah ah ah..davvero molto divertente.
- Dai non prendertela, scherzavo.
- Bello scherzo.. bah. Comunque davvero, sarebbe bello se i miei amici mi trovassero un soprannome, pure uno di quelli che hai suggerito tu, non mi interessa che siano quasi una presa in giro. Certo, prima dovrei avere degli amici, ma sono dettagli.
- Si, certo... dettagli...


Dialogo con l'amico immaginario.

mercoledì 29 luglio 2009

Murphy conosceva la mia famiglia

Legge di Murphy. Assolutamente niente di nuovo. Fa anche ridere, forse è terapeutico citarla proprio nei momenti in cui qualcosa che speravi potesse andarti bene e, coerentemente con suddetta legge, andato male. Certo, per apprezzarla in una situazione del genere bisogna essere forniti di una modesta quantità di humor, autoironia e amore per il grottesco.
C'è un momento in cui tale legge, nonostante la mia ampia fornitura delle qualità sopracitate, mi risulta davvero insopportabile: l'applicazione preventiva. Trasformare la legge in un esempio concreto. Sperando quasi che, controvertendo la legge stessa, quel qualcosa vada certamente male. Esempio pratico. Mangiare un piatto di pasta alla norma indossando una maglietta bianca e captare con l'orecchio destro la seguente enunciazione "cambia maglietta, altrimenti la sporcherai con il sugo". Altro esempio: entrare in casa dopo un piccolo scambio di opinioni con la maniglia bisognosa di un'abbondante spruzzata di svitol, ed essere raggiunti da tale avvertimento "dobbiamo cambiare questa maniglia, altrimenti resteremo chiusi fuori". Probabilmente nell'istante in cui la salsa di pomodoro toccherà la maglia bianca dopo un doppio salto e mezzo ritornato carpiato del maccherone sfuggito alla forchetta, potrei pentirmi di non aver prestato attenzione a quell'ammonimento. Di certo lo rimpiangerò il giorno in cui dovrò scegliere se chiamare i vigili del fuoco per sfondare la porta di casa o reinventarmi topo di appartamento nel tentativo di forzare una finestra. Ma al momento preferisco vivere a cuor leggero, ed immaginarmi davanti la porta di casa con la maniglia in mano e la maglietta macchiata di pomodoro.

domenica 12 luglio 2009

Una vera meraviglia

-E’ una cosa che mi sarà capitata tre, quattro volte al massimo. La prima non la ricordo… probabilmente è dovuto al fatto che ancora non sapevo riconoscerla. Ma è una sensazione meravigliosa! Quasi vorrei poterla evocare a comando, anche se così perderebbe gran parte della sua meravigliosità! A te è mai capitato? – Il rischio di non ascoltare il proprio interlocutore, ma soprattutto il rischio di farsi scoprire, si corre quando ci viene posta una domanda. -Ehm… n-no credo di no- Cinque o sei secondi di smarrimento avrebbero smascherato chiunque, ma evidentemente N., a sua volta, non badava a cosa potesse dire chi gli stava di fronte.

-Aprire gli occhi, e non sapere nulla. Una vera meraviglia! Non mi rendo conto di quanto tempo passo in quello stato, probabilmente si tratta solo di alcuni secondi, ma talmente intensi da sembrare decine di minuti. Smarrimento totale. Ma nessun tipo di panico. Semplicemente mi sveglio, guardo il soffitto e so di non sapere niente. La prima cosa che mi viene in testa è di chiedermi dove mi trovo. Guardo il soffitto, non ho nessun riferimento. La penombra non mi aiuta: potrebbe essere tarda notte o le 6.30 del mattino. Chissà perché, non sposto lo sguardo, non cerco niente di familiare che possa aiutarmi a ricordare. Mi godo (inconsciamente) quegli istanti in cui potrei essere ovunque ma soprattutto potrei essere qualsiasi cosa, perché non ho nessun tipo di coscienza. E’ assolutamente meraviglioso! Non sento il corpo, non guardo niente di particolare… immagino sia lo stesso che si prova quando si viene al mondo. In quei momento non hai la minima idea di cosa ti capiterà da lì a qualche secondo. Hai presente i dejà vu? Quando ti succede di ritrovarti in una situazione che ti pare di aver già vissuto. La spiegazione più plausibile è che si stia compiendo un gesto che si fa spesso ed il nostro cervello ricorda un'esperienza assolutamente simile e ce la ripropone. Ecco che ci pare di vivere una cosa che abbiamo già vissuto, perché tecnicamente è in parte vero. In quel caso, personalissima mia abitudine, tendo ad assecondare i miei ricordi: se sto parlando con qualcuno, riferisco ciò che ricordo di aver già detto ed attendo con curiosità l’evolversi dell’evento per verificare se è tutto come lo ricordavo. Ed ammetto che meravigliosamente, è spesso così. Quindi... il dejà vu nasce dal fatto di vivere qualcosa che ha già vissuto. Quindi la presenza di elementi di riferimento è assolutamente indispensabile a far nascere questa sensazione. Ecco… ora pensa all’opposto! Se invece non ne hai nessuno, di riferimento? Ecco che non sai nemmeno chi sei! Non ti sto annoiando, vero? –

-No, figurati… - rispose P., che aveva prestato attenzione ad una parola ogni dieci che venivano catapultate fuori dalla bocca del suo amico. Nel frattempo si stupì di quanto potesse essere interessante l’etichetta della sua Paulaner. Una combriccola di stereotipati bavaresi che se la spassano tra i campi ed i monti, trangugiando boccali di weiss. E che accuratezza nei dettagli. P. pensò che probabilmente non l’aveva mai nemmeno guardata. E dire che qualcuno lavorerà per progettare queste etichette. Grafica, disegni o scritte varie che quasi nessuno degnerà di attenzione. N. aveva già ripreso a parlare

- Sai che altro c’è di strano? Appena, purtroppo, ti ricordi chi sei e dove sei, quella meravigliosa sensazione di smarrimento, non riesci più a provarla… è un vero peccato. Ti dicevo, mi è capitato raramente perché, requisito principale necessario al verificarsi di questo evento, ormai sono sicuro che sia così, è il ritrovarsi in un posto che non conosci. Proprio perché serve non avere dei punti di riferimento noti. Niente che ti torni agevolmente in mente e che ti ricordi che sei, per esempio, nella tua camera. Tant’è che questa sensazione di “dolce smarrimento” l’ho sempre vissuta in occasioni in cui non ho dormito in casa mia. Poi devi sapere che… -

P. non ascoltava più, oramai. Si chiese se fosse legale usare la parola “meraviglia” e ogni sua possibile variante così tante volte in un solo discorso. Di certo si sarebbe informato, ed in caso non avrebbe aspettato più di due secondi a denunciare l’abuso di cui il suo orecchio era stato testimone . Non era sua abitudine restare indifferente a certe violenze lessicali.

P. ed N. si congedarono. La birra era finita, il monologo probabilmente sarebbe potuto proseguire, ma l’ora era ormai tarda.

Durante il breve tragitto che separava il suo solito pub da casa, P. ripensò a quanto ascoltato prima. Per quanto annoiato, aveva seguito distrattamente il discorso, quel tanto che basta per non farsi cogliere impreparato. Procedeva a spasso svelto, l’umidità della sera aveva avuto la meglio sulla voglia di non fare subito ritorno a casa. Camminando, si ritrovò a chiedersi che comportamento era solito assumere le volte che gli capitava di vivere un dejà vu. Assecondava anche lui gli eventi o faceva di tutto per mettere i bastoni tra le ruote alla prevedibilità. Non se lo ricordava. Forse gli capitava talmente di rado da non avere il tempo di reagire. Semplicemente lasciava scorrere via gli eventi, per poi rendersi conto di aver vissuto quella strana sensazione che, chissà come mai, tutti si ostinano a chiamare “dejà vu” e non “già visto”. Non andava bene ugualmente chiamarla col proprio nome, per così dire, tradotto? Decise che l’indomani avrebbe di certo approfondito l’argomento.



Ore 07.15. Puntualissima ed incorruttibile, la sveglia cominciò a fare il suo lavoro. Mai una volta che decidesse di venirgli in contro e concedergli due minuti di sonno in più. Anche se quel giorno sarebbe stato un gesto di gentilezza sprecato. P aveva preceduto la sveglia. Se solo di qualche istante o di molti minuti non era in grado di stabilirlo, fatto sta che il suono cadenzato e ripetitivo lo colse meno di sorpresa del solito. Dirigendosi verso il bagno per le consuete abluzioni mattutine, quasi rovinò su uno dei cartoni contenente un genere non meglio identificato di cianfrusaglie. Le sue cianfrusaglie che ancora dopo tre settimane dal trasloco, non aveva avuto modo di riporre da qualche parte. Anche se il problema non era da poco: oggetti kitsch e ricordi di viaggi difficilmente trovano una loro ragionevole collocazione in una casa. Ma non era quello il momento per mettere in ordine il suo appartamento: stranamente il suo capoufficio non aveva simpatia per i ritardatari. Giunto in ufficio, P. notò subito un post-it viola che faceva bella mostra di se sulla sua scrivania. Non era firmato. Ma due elementi non lasciavano spazio a dubbi su chi fosse il mittente del messaggio. Tra i suoi colleghi solo uno usava post-it di quell'irritante variante cromatica e soprattutto non risparmiava punti esclamativi. Il messaggio era di N.. Il caso volle farli rincontrare giusto in quell'ufficio, dopo che trascorsero i 5 anni di liceo come compagni di classe. Non era cambiato di una virgola, N. Quando un anno prima, lo vide mettere piede nell'edificio e prendere posto alla sua nuova scrivania, più o meno tutto il palazzo venne a sapere che erano stati compagni di liceo. Perché N. si entusiasmava facilmente. E con altrettanta facilità esternava la sua gioia. P. non riusciva a capire se la capacità di entusiasmarsi anche per la più piccola novità fosse un tratto odioso del carattere del suo amico o se non fosse addirittura una caratteristica da ammirare. Il biglietto diceva solo: “Alle 22 al pub. Devo raccontarti una cosa meravigliosa!!!!!!!”


lunedì 8 giugno 2009

Hey "Judge", don't be afraid

Sono seduta e guardo distrattamente fuori dall'alto del vagone e protetta da un vetro piuttosto sporco le cui guarnizioni, dopo almeno 40 anni di servizio, hanno giustamente deciso di andare in pensione lasciando al loro posto una rugosa e stropicciata linea nera di gomma, mi sembra quasi che i passanti che si susseguono sul marciapiede non possano vedermi o quantomeno non dovrebbero notarmi molto; la stessa sensazione che avverto le rare volte che indosso gli occhiali da sole. Mi soffermo ad osservare un tipo qualsiasi. Anzi no; lo noto perché ha una vaga somiglianza con Judge Reinhold, attore meteora degli anni 80/90, di quando pensavo che gli unici attori famosi fossero Tom Hanks e Dan Aykroyd. Judge è seduto su una panchina; giacca, cravatta, jeans ed una 24 ore in cuoio. Fuma come dovesse farlo per raggiungere uno scopo o un beneficio, ma non credendo davvero di poterlo ottenere. Insomma, come se per curare un mal di gola che vi affligge da anni vi suggerissero una cura alternativa: camminare in tondo per un minuto, con un cilindro in testa e ripetendo la frase "mi piace il gelato". La disperazione vi porterebbe provare, pur consapevoli che non servirà a nulla. Ecco come fuma Judge. Accanto a lui una signora sta in piedi e fuma una sigaretta, cosciente del fatto che dopo essere salita sul treno potrà solo contemplare i suoi bastoncini di tabacco, carta e catrame. Annoiata mi dimentico di loro pensando a come realizzare una foto che ho in mente da una settimana. Aspetto la luce giusta. Siamo partiti. La luce che avrei voluto non è mai arrivata, quindi niente foto. Ci fermiamo alla prima stazione. Io sto di nuovo, dall'alto del treno e protetta dal vetro, guardando le persone che popolano il ristretto specchio di marciapiede delimitato dal finestrino. Vedo Judge, a quanto pare era sul mio stesso treno. E' già sceso, sarà arrivato a casa. Subito si sbarazza della valigetta, tenendola tra le gambe. Da fuoco ad una sigaretta. Non mi pare affatto che ci creda.

lunedì 25 maggio 2009

C'è la musica per ogni occasione. C'è sempre una musica giusta. Che sia convenzionale, che sia scelta con cura o che si presenti all'improvviso, ci sarà sempre.

Esiste la musica da “filmino del matrimonio” e quella giusta come sottofondo per un videogioco. O di più, c'è quella che ti carica per andare a correre su un immobile tapis roulant in palestra. Senza dimenticare quella giusta per quando si è particolarmente di buon umore. O meglio ancora, perché qui la scelta risulta particolarmente efferata, c'è anche quella per quando si è tristi/depressi: come scordare la mia peggiore playlist tra le cui canzoni primeggiavano: “Last Goodbye” di Jeff Buckely, “Sunday morning call” degli Oasis e “Save me” dei Queen (tanto per citare le più struggenti. E la Kleenex® ringrazia). Mi fa tenerezza pensare a come si arrivi a provare un malsano piacere nell'alimentare segretamente sentimenti che almeno a parole rifuggiamo. La scelta di quelle canzoni nel mio caso ed in quel fortunatamente assai lontano periodo, è chiaro esempio di idiozia. Ma non è questo il punto. Il problema più grosso è dato dalle canzoni che scelgono autonomamente di eleggersi “Miss canzone giusta”. Una melodia che spesso conosco già, ma d'improvviso, anche dopo qualche anno di silenzio, mi torna in mente nella maniera meno logica e prevedibile. Coi potenti mezzi di oggi in una manciata di secondi posso avere a disposizione la canzone, sia musica che testo (bei tempi in cui ritagliavo i testi dal Tv sorrisi e canzoni. Bei tempi un corno, ma mi piace fare la nostalgica). “Ma è di questo che parla la canzone? Ed io che credevo tutt'altro.”. Nello scoprire la vera natura del testo, la peggiore delle cose che può capitare è che quel testo parli di me. Esattamente. Strabuzzando gli occhi, torno a leggere. Si è chiaro, parla di me; non v'è dubbio alcuno. Coincidenze simili spingono a guardarsi intorno: “forse qualcuno mi sta spiando e mi ha suggerito a mia insaputa quella canzone, meglio controllare che la webcam sia spenta” Ma ovviamente l'unico che mi sta spiando è il caso. Perché quella canzone, quando l'ascoltai la prima volta, non parlava di me. Ora si. E di certo non è il testo della canzone ad essere mutato. C'è sempre una canzone giusta, anche quando non lo sappiamo ancora.


p.s. C'è anche la musica sbagliata. Suggerisco caldamente di non ascoltare Aenima dei Tool mentre ci si ritrova bloccati nel traffico del centro città in un prevedibilmente affollato sabato pomeriggio. Non fatelo. E se proprio decidete di farlo, nonostante la lampante manifestazione di dissennatezza, forse potrei portarvi le arance in carcere mentre scontate la pena per aggressione. E, perché no, anche un cd con le musiche giuste.

mercoledì 20 maggio 2009

Perfetta

La mattina sono il suo primo pensiero. Appena sveglio, ancora con gli occhi semichiusi e sebbene infreddolito per l’escursione termica tra il caldo piumone ed il freddo appartamento, la prima cosa che fa, forse addirittura incoscientemente, è svegliare me. Arriva in silenzio. Gli basta sfiorarmi e mi ridesto subito; mi sento letteralmente accendere quando si rivolge a me. Anche se ci frequentiamo da poco ha detto che come me non ce ne sono state altre. Gliel’ho sentito dire una sera, quando c’erano i suoi amici a cena. Ci ha presentati. Non faceva che tessere le mie lodi, ammetto che è stato abbastanza imbarazzante. So che quella di cui ho preso il posto lo ha abbandonato senza alcun preavviso. Il giorno prima andava tutto bene e d’improvviso qualcosa è andato in pezzi. Ma fortunatamente gli ho fatto dimenticare quella brutta esperienza. Purtroppo ho sentito dire che nell’ufficio dove lavora c’è una mia connazionale, decisamente una poco seria e per quel che so, nemmeno una gran bellezza; sempre che non vi piacciano quelle alte e di corporatura molto robusta: i maligni hanno detto che assomigli addirittura ad un armadio. Mi è giunta voce che vada con tutti, e si faccia addirittura pagare! Magari prima di conoscermi anche lui qualche volta l’avrà frequentata, tuttavia io sono un tipo moderno, almeno come mentalità e modo di fare, quindi non mi scandalizzo.
Certo, non è conveniente dire in giro che prima di conoscerci ha preso informazioni su di me da internet. Però così mi ha scelta consapevolmente, sa tutti i miei pregi e difetti, gli è bastato cercare su Google tre semplici parole: macchina caffè espresso.

mercoledì 6 maggio 2009

Sinonimo di un osso dell'avambraccio e di un elemento chimico.



Radio accesa… sto consumando il tasto che serve a cambiare stazione… “92.40 bzz…92.75ma ved… 93.10..you can..” la radio a volte mi stressa. Ma sa farsi perdonare. Ecco che sento una bella chitarra acustica ed addirittura un bongo: ascolto curiosa. Erano anni che non sentivo questa canzone; ricordo che mi piaceva parecchio. Chiudo gli occhi ed mi gusto ogni parola e quegli accordi alla “Samuele bersani”. Tecnicamente non so descriverli ma si riconoscono. Nella mia testa esistono anche gli accordi alla “Stereophonics”… non so se rendo l’idea. La cosa che più mi piace della radio è il sapore che prende ogni canzone. Quando non ti aspetti di poterla ascoltare e sai di non poter ricorrere alla pausa se non hai colto una parola e ovviamente non puoi tornare indietro per riascoltare un bel arpeggio. Ed è con questo spirito che assaporo tutta la canzone. Quando finisce mi sento soddisfatta. Ma il pericolo è sempre dietro l’angolo. E’ vero che io ero distratta, altrove, trasportata dal piacere di riascoltare una canzone di cui avevo dimenticato l’esistenza, ma il jingle che parte subito dopo si rivela inaspettatamente pericoloso: “radio italia solo musica italiana, un’amica che ti tiene compagnia, ti regalerà la felicità, radio italia solo musica italiana”. Durante tutta la durata ho temuto di essere una casalinga di mezza età, coi bigodini ed il foulard in testa, che procede gatton gattoni, armata della fidata cera “Emulsio”, alla lucidatura del prezioso marmo che poi nessuno mai calpesterà a parte le pattine della stessa lucidante. Grazie a qualche dio non meglio identificato a fine jingle sono tornata alla realtà. La messa in piega l’ho già fatta ed il marmo l’ho lucidato ieri.


lunedì 27 aprile 2009

D...


domenica 19 aprile 2009

Questione di gusti?

A me non piace molto il concetto di famiglia. E non tanto intesa come binomio genitori-figli. Bensì come insieme anche di zii, cugini, nonni. Forse il mio scarso gradimento è solo dovuto alla mia esperienza

Capita di assaggiare un vino mai assaggiato prima. Capita che quel vino non ci piaccia. Per logica, diremo che quel tipo di vino non va incontro al nostro gusto. E se poi la colpa non è del tipo di vino, ma di quella particolare bottiglia, probabilmente guasta? Forse sapeva un po’ di tappo o forse ormai stava diventando aceto. Ecco, io ho assaggiato solo la mia famiglia. Forse è lei che sa di tappo. Forse altre famiglie non sono poi così male.

Parlo con un conoscente e mi racconta del suo tipico pranzo domenicale a casa della cugina, tra cugini, nipoti e “canuzzi”. Ed immagino un grande appartamento, ampie finestre che regalano luminosità alla sala da pranzo. Tiepida aria primaverile e l’odore della pasta al forno. Guantiere di dolci. Uno zio che scherza con la nipote. Un pranzo di quelli che ti lasciano agonizzate sul divano per un paio d’ore. Semi-incoscienza digestiva con sottofondo di "Tutto il calcio minuto per minuto" alla radio. L’odore del caffè, unico antidoto e ultima speranza per riacquistare e un po’di lucidità. Una zia che baratta la sua ricetta per la torta di mele per quella dei biscotti al cocco. Sorrisi sinceri. Risate sincere. Parenti che sembrano buoni conoscenti, quasi amici; e non un insieme di estranei non vogliono disobbedire a chissà quale ancestrale patto che li obbliga a frequentarsi nonostante non ci si sopporti vicendevolmente.

Quasi mi viene voglia di chiedergli se posso partecipare al pranzo della sua famiglia.

In fondo oggi è domenica.

mercoledì 8 aprile 2009

Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira (J.D. Salinger)

Esattamente quello che ho pensato io dopo aver letto un suo libro. Ed aver scoperto che è vivo e che un telefono di certo ce l'ha, mi ha messo di buon umore.

domenica 5 aprile 2009

Una passeggiata in una tiepida giornata di sole, prove tecniche di primavera. Silenzio. Riesco a sentire il suono dei miei passi anche se le mie scarpe hanno la suola in gomma. Posso sentire scricchiolare il rametto secco che calpesto volutamente. Cammino ascoltando qualche tortora che prende il volo non appena mi avvicino troppo. Strane le tortore: emettono un verso proprio quando spiccano il volo, sembra quasi il rumore delle ali che cigolano. Sento una macchina sopraggiungere alle mie spalle, come sempre cerco di indovinarne la marca dal rumore del motore; qualche volta c'azzecco. Mi piace passare davanti ad una ringhiera adorna di un folto e fin troppo affettuoso rampicante fiorito che mi stupisce col suo profumo. Mi piace origliare senza malizia un suono che proviene da una finestra aperta: qualcuno sta ascoltando la radio. Oppure mi piace rendermi conto che si sta facendo ora di pranzo perché passando davanti ad un'altra villetta mi solletica, senza invadenza, un profumino così invitante da farmi venir voglia di bussare e chiedere se mi invitano a pranzo. Se passo davanti ad una pianta di gelsomino raccolgo sempre un fiore, ma senza fermarmi. Mi piace fare amicizia con i cani, guardiani fedeli di molte ville. Ammetto che alcuni non sembrano ricambiare i miei propositi, mostrano i denti ed abbaiano, ma spero che per la volta successiva mi riservino un'accoglienza diversa. Passando davanti ad una fermata dell'autobus, mi viene in mente il gatto bianco. Adoravo il gatto bianco col suo collare rosso. Mi teneva compagnia durante l'attesa. Bastava chiamarlo ed in tempo da record arrivava; prima il suo miagolio e poi lui. Si lasciava strapazzare di carezze e quando andavo via avevo il tempo di salire sul bus, prendere posto e potevo vederlo ancora lì sul muretto un po' smarrito per la mia improvvisa dipartita. Altra cosa che adoro è associare case ed auto. Potrei darvi le indicazioni per raggiungere casa mia usando come riferimento le auto posteggiate lungo il tragitto. Quando mi imbatto in qualche marciapiede mal curato, faccio progetti per come risistemarlo. Mi immagino a ripulire dalle erbacce le fioriere, o a tinteggiare qualche muretto ormai scrostato dall'umidità. Ho questa mania dell'aggiusta-tutto. Più che altro mi piacerebbe vedere la città sempre ordinata e pulita. Mi piace passeggiare lungo la spiaggia. Si incontrano sempre gli stessi visi. Soprattutto se si decide di essere prevedibili e programmare le passeggiate sempre ai medesimi orari. Tanta gente di tutte le età, c'è chi corre e chi va in bicicletta. Di certo i corridori sono in maggioranza. Li vedo ed mi riprometto sempre di imitarli e magari accordarmi ad alcuni di loro. Poi arrivo in spiaggia. Mi piace sedermi quasi in riva. Non importa se la sabbia è umida. Il mare tiene compagnia sempre con lo stesso suono. Ripetitivo, ciclico. In realtà sempre diverso se ci si concentra. Il bello è questo: sa essere musica di sottofondo per i pensieri o suono potente che distrae e ti costringe a concentrarti su di esso, ad ascoltarlo con l'attenzione che si dedica ad una nuova canzone che piace tanto, di cui vorresti scoprire ogni sfumatura. Basta decidere e lui sarà quello che vuoi tu. Il tempo passa, la gente continua a correre sul marciapiede polveroso, ma esisto solo io, ed il mare davanti a me. Ogni tanto, distratta dal passaggio di qualche moto dalle marmitte troppo rumorose, mi volto indietro verso il marciapiede e ripiombo nella realtà. Ma con la stessa velocità torno nel mio mondo-mare. Quando decido di andar via mi capita di rincontrare i visi già conosciuti prima. E mi sembra di conoscere tutti da sempre. Quando mi trovo attorno tante persone, spesso il mio sguardo sfugge; non riesco a concentrarmi, a guardare in viso le persone, perché sarei costretta a percepire così tante informazioni che andrei in tilt. Sono capace di passare davanti ad un qualsiasi conoscente e non vederlo. Quando invece ho modo di incrociare pochi passanti, dedico loro la mia attenzione. Pochi tratti distintivi mi bastano. E se sono abbastanza particolari, quella persona probabilmente la riconoscerò ogni qualvolta mi capiterà di incontrarla. Tornando verso casa mi rendo conto che mi sento già a casa. Credo ci vogliano 3km quadrati di Mondello per per avere la stessa densità abitativa del mio condominio. Arrivare in via Pazienza equivale ad aprire il portone del palazzo.Vorrei conoscere tutti. Vorrei parlare con tante persone. Avrei voglia di salutare tutti quelli che riconosco, anche se li ho visti solo una volta. E forse inizierò a farlo.

sabato 28 marzo 2009

P.


Ti ho dovuto rivalutare. Anzi. Valutare. Perché ad essere sincera non mi ero fatta alcuna opinione di te, da questo punto di vista. Ti credevo solo distante e invece mi hai stupita. Sei forse solo troppo simile a me. Anzi io sono simile a te. Io sono cambiata. E oggi forse anche tu sei cambiato, almeno nei miei confronti. Non sei lontano quanto immaginassi, né insensibile né tanto meno chiuso. Mi hai stupita schierandoti dalla mia parte, capendo cose che non pensavo potessi capire; immedesimandoti in me nonostante le enormi distante che ci dividono. Più di quanto ci si possa aspettare, addirittura più di quanto potessi sperare.

Grazie.


Niente di nuovo qui, invece. Sapevo già tutto. Dritto davanti a te. Non esistono destra e sinistra, nord est o nord ovest, è tutto bianco o nero. Ed invece il bianco non è bianco se lo guardi attraverso degli occhi diversi, occhi che vedono attraverso un filtro che tu non hai. Quel bianco sarebbe forse rosa o forse celeste se anche tu avessi davanti un filtro rosso o uno blu. Tu non sai che filtro ho io. Non puoi saperlo ma non vuoi nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi che io ne abbia uno diverso. Prima o poi la ragione arriva dalla tua parte: tutti possono indovinare che tra due squadre, una delle due vincerà. Il problema è riuscire a vedere la partita, valutare le azioni, il gioco. Questo non lo sai fare, ma pretendi di valutare perfino chi abbia giocato meglio. Tutti hanno i loro limiti. I tuoi sono evidenti per me. I miei magari saranno evidenti ad altri. Non voglio giudicare. Non sono giudice né giuria, io sono i fatti.


mercoledì 25 marzo 2009

Alla fermata dell'autobus


- Scusi, è da molto che aspetta?

- No, per niente. Sa.. i famosi processi-lampo cinesi.

- Ah capisco.. Speriamo che arrivi in fretta. L'attesa mi uccide.



Cina: il bus dei condannati a morte
Viene costruito a Chongqing dalla Jinguan Auto, il bus dei condannati a morti in Cina. Oltre ad avere il record mondiale delle condanne a morte (1.718, pari al 72% nel 2008, ma Amnesty International segnala che i numeri potrebbero essere più alti), la Cina ha inventato anche le esecuzioni mobili. Per risparmiare tempo e denaro, e soprattutto recuperare i preziosi organi dei condannati, che vengono subito espiantati per poi essere rivenduti per i trapianti. E per poter fare questo, i cadaveri dei condannati devono essere portati subito in sala operatoria. Quindi, cosa c'è di meglio di fare loro l'iniezione letale direttamente sul pullman che li porta in ospedale?
Paolo Virtuani

da corriere.it

domenica 22 marzo 2009

A cosa servono i sogni se non a rimanere delusi quando ci sveglia?

Non avere nemmeno il tempo di chiedersi se è reale, perché nell’istante in cui ci si pone la domanda, nasce anche la risposta.

venerdì 20 marzo 2009

Fino a ieri mai mi sarei interessata ad un tipo così. Eppure adesso lo penso spesso. Non è un'ossessione, non mi piacciono le ossessioni, ma è bello accorgersi che qualcuno ti torna spesso in mente. Ci sarà un perché. Non ci vediamo frequentemente. Non so se per colpa mia o sua. Ogni tanto mi dico: "basta.. esco!", sperando di passare del tempo insieme.. ma mi capita facilmente di demordere. Forse in fondo non mi piace ancora così tanto da voler passare tutto il tempo spendibile insieme. Ma la voglia di scoprire ogni sua lato, ogni sua sfaccettatura, quello è innegabile che ci sia. Poi, quando riusciamo a stare insieme devo dire che non rimango mai delusa: la sua compagnia è avvolgente ma mai fastidiosa, forse a volte è un po' insistente, ma ci vuole poco per farlo quietare, bastano un paio di minuti senza degnarlo di uno sguardo e il suo entusiasmo si spegne in fretta. Quando va via mi pare di sentirlo addirittura ancora con me, nella stanza. Una cosa un po' mi dispiace.. so per certo che non sono la sola per lui. Anzi. É parecchio conosciuto, in molti parlando di lui e in tanti comprano la sua compagnia.

Accidenti, non potevo invaghirmi di un sigaro meno famoso?

mercoledì 18 marzo 2009

Della vera amicizia

É proprio vero che certe cose non cambiano mai. E accorgesi di condividere le idee di un filosofo vissuto nel primo secolo d.C., è sinceramente emozionante.

Mi limito a riportare alcune frasi o dei brevi passaggi tratti da "Della vera amicizia" di Plutarco.

"L’amico non deve essere noioso e tantomeno perfetto, il valore di un’amicizia non dipende da un conteggio rigido e austero."

"
Non bisogna però sospettare tutti quelli che ci lodano; la lode, se opportuna giova all’amicizia quanto la critica. I brontolii ed i rimproveri logorano l’amicizia, mentre la lode benevola, generosa e pronta dei nostri successi ci fa ascoltare tranquillamente e senza risentimento anche i giudizi più schietti.
Sappiamo infatti che chi è facile alla lode, ricorre al biasimo solo quando vi è costretto, e ne siamo felici."

"
È doloroso, proprio quando si ha bisogno di amici veri, accorgesi di non averne e non poter cambiare un consigliere infido e subdolo in un amico sincero e costante"

"Quando due persone si incontrano per strada, l’amico, senza convenevoli, soltanto con uno sguardo e un sorriso, esprime con gli occhi la propria affettuosa intimità e passa oltre; invece l’adulatore si mette a correre, si lancia all’inseguimento, saluta da lontano agitando le mani, e se è stato visto e salutato per primo prende a scusarsi"

"
L’adulatore spinge l’uomo all’errore e a ignorare la propria vera natura, offuscandone i pregi e esasperandone i difetti."

"
La franchezza vera, propria dell’amico, agisce sugli errori, causando dolore che però salva e guarisce, come il miele che brucia e disinfetta le ferite, utile e dolce per il resto"

venerdì 13 marzo 2009

Milano mi sta

cordialmente

sulle palle


Non se la prendano i milanesi

venerdì 6 marzo 2009


La vita è come un cruciverba.


Certe risposte le conosci, altre no

altre ancora le scoprirai

incrociando quelle che già sai.



P.S. Niente matita, solo penna indelebile.

Foto: Florinda©

sabato 28 febbraio 2009


Assioma di Cole - "La somma dell'intelligenza sulla Terra è costante; la popolazione è in aumento"


Nonostante ritenga sempre valida la mia teoria secondo la quale "un cretino, essendo cretino, non si accorge di esserlo e quindi vive bene al mondo d'oggi", sono piuttosto soddisfatta di essere, non dico intelligente, ma almeno non abbastanza cretina da non cogliere la cretinagine altrui. Ammetto che di rado, mi capita di pensare che tanto male non dev'essere vivere tranquilli ed ignari; ma dal momento che sebbene sia cretina riesco ancora a cogliere le cretinagini, il mio campanello d'allarme anti-cretini si attiva, e mi ricorda che sono cretina a pensare una cosa simile, ma ahimé non abbastanza da non rendermene conto.
In conclusione: datemi uno spigolo, oppure il brain stop.. Oppure.. no, continuerò così, che in fondo in fondo non mi dispiace.


venerdì 27 febbraio 2009

dal Corriere.it

Roma: «coprifuoco» per gelati e cornetti caldi . Vendita vietata dopo l'una di notte

- Era ora! Basta gente che guida in stato di sazietà!

lunedì 23 febbraio 2009


Parecchi anni fa Edoardo Bennato cantava...

una mattina, mi son svegliato,
tutto sbagliato, baby...

.. tutto sbagliato, baby,
tutto sbagliato, darling
tu l'hai pensato sempre,
ma non l'hai detto mai!...




Da piccolina non capivo bene il testo; io sentivo cantare "una mattina, mi son svegliato tutto sbagliato, baby!" (mai sottovalutare la potenza di una virgola). Ed immaginavo la faccia di Bennato appena alzato dal letto, come un quadro di Picasso, con i connotati shakerati e posizionati su di un viso irregolare di un bel colorito verde mela, e nessuno che avesse il coraggio di dirgli che la sua faccia non andava bene.
Per fortuna, qualche anno dopo, ascoltando con attenzione il testo o forse avendo avuto la possibilità di leggerlo, mi accorsi del mio piccolo errore interpretativo.

Oggi ho pensato a questa canzone, ma in maniera ancora differente...
Questa volta la faccia di Bennato è salva.

Ascolta la canzone...

mercoledì 18 febbraio 2009



Ci vuole pazienza, dedizione, passione. Se poi ti diverti mentre costruisci il tuo castello di carte, hai l'equilibrio perfetto.
Quando l'hai finito e lui sta lì, puoi ammirarlo e puoi dire di essere soddisfatto di averlo fatto.
Poi mentre lo guardi, forse talmente contento del tuo lavoro, ti lasci scappar via dalle labbra un sospiro di gioia, di amore per quello che hai costruito... e quel sospiro a volte può bastare a farlo crollare.



Foto: Florinda©

lunedì 16 febbraio 2009

Leggo un giornale...

Leggo un giornale. Online. Un quotidiano, ma che ormai aggiornano ogni 5 minuti, ed io mi aggiorno almeno 20 volte al dì. Le notizie sono le solite: al momento primeggia il titolo “Pil 2008 -2,6%”. C’è la crisi.. lo so. Di economia non ne capisco troppo, e non è il momento di incominciare a capirne di più, visto il mal di testa che mi tiene compagnia. Scorro con lo sguardo tra i titoli. Altra notizia “Ganzano, bimbo di 10 mesi muore aggredito dal suo mastino napoletano”. Mi soffermo un attimo e leggo la vicenda. Ovviamente triste, probabilmente evitabile e mi chiedo se quello dei cani pericolosi non sarà presto il nuovo tormentone anti-informazione usato per distrarre tutti. Serve sempre un tormentone che tocchi il cuore delle casalinghe e della massa in generale. Torno a scorrere le notizie principali.

Man mano che aggiornano il sito, le notizie scalano verso il fondo della pagina,e occupano meno spazio rispetto alle “news”. Ma intravedo un articolo. Leggo ma non mi è subito chiaro. “Napoli, vendeva le figlie per 5€”. Rileggo ma le parole sono sempre le stesse. Approfondisco la lettura. “Una donna di 36 anni è stata arrestata perché consentiva abusi sessuali su due sue figlie, di 8 e 10 anni. … Era di 5 euro il compenso pattuito perché il compagno della sorella ed altri conoscenti abusassero delle sue due bambine … I rapporti venivano consumati nel sottoscala di un palazzo … La donna stessa si prostituiva davanti ai suoi sei figli … Era la stessa madre a contattare i "clienti" per sé e per le due bambine … Quanto alla periodicità delle prestazioni, secondo gli inquirenti, che hanno inquadrato il caso in un contesto di grave degrado sociale e analfabetismo, le violenze avvenivano più volte alla settimana, di sicuro ogni qualvolta c'era bisogno di soldi per mandare avanti la famiglia. …

Notizie del genere non possono lasciare indifferenti, e se si rimane indifferenti, vuol dire che si è insensibili o che ormai se ne sentono talmente tante da farci quasi l’abitudine. Io ancora non sono insensibile, né voglio farci l’abitudine a certe cose. Rileggo più volte la frase che sottolinea il contesto di degrado in cui si sono consumate le violenze, e lì per lì immagino una situazione invivibile; mi chiedo come sia possibile che nel 2009 in città italiane ci sia un livello tale di imbarbarimento da poter giustificare eventi del genere. Poi mi dico che niente può motivarli. Non è nemmeno la mancanza di istruzione che può giustificare l’assenza di affetto. I sentimenti non li spiegano di certo a scuola. Come può una persona al giorno d’oggi avere tanta incuria della salute (fisica e mentale) di alcuni bambini? Pensare poi che fosse la stessa madre a venderli, è ancora più odioso. Probabilmente quella era la sua unica fonte si sostentamento. La madre mandava a prostituirsi due figlie per sfamare gli altri. Ma come si può arrivare a tanto? Istinto di sopravvivenza?

I s t i n t o .

Ripenso al cane che ha agito per puro istinto. E ripenso alla donna ed a quello che ha fatto. Un essere pensante, che dovrebbe avere una coscienza, sentimenti, e soprattutto dovrebbe essere dotata di Ragione.

Istinto, ragione, animali, persone… e mi accorgo che a volte i confini sono troppo sottili.

martedì 10 febbraio 2009

Un Viaggiatore ed un saggio

Ci sono domande che tutti ad un certo punto della loro vita si pongono. C'era solo un modo per avere delle risposte: affrontare un gravoso viaggio tra le impervie vette delle inarrivabili montagne tibetane, in viaggio spirituale per incontrare un saggio eremita, abbarbicato sul suo eremo, diafano e sozzo, di una sozzura che solo anni di stenti e isolamento possono forgiare, ma che sa tutto. Da lui si sarebbero potute avere le risposte chiarificatrici di una vita. Il Viaggiatore, finalmente arrivato al cospetto del saggio, formulò subito la sua domanda:

- Maestro.. ho deciso che voglio fare tutto ciò che mi va di fare..faccio bene?

- Non sempre ciò che si vorresti fare si rivelerà la cosa giusta da fare,e rimarrai deluso.

Inizialmente perplesso, poi convinto di aver bensì capito cosa dovesse fare della sua vita, il Viaggiatore rispose:

- Maestro.. ho deciso: allora farò tutto quello che è giusto fare!

- Non sempre quello che è giusto fare sarà cioè che vuoi fare, rimarrai scontento.

Una sfiancante delusione, per non dire frustrazione, attraversò corpo e mente del Viaggiatore. Stiede lì per qualche minuto o qualche ora, il tempo necessario per riformulare la domanda al Saggio. Fu così che gli chiese, seppur con un filo di disperazione:

-Maestro.. e allora cosa dovrei fare?

QUI LE STRADE SONO DUE. FINALE A: SE AVETE ANCORA VOGLIA DI LEGGERE. B: SE QUESTA COSA É GIA' ANDATA TROPPO PER LE LUNGHE. UNO É QUELLO CHE AVEVO PENSATO ALL'INIZIO, MA POI DAL MOMENTO CHE PENSO TROPPO É VENUTO FUORI ANCHE IL FINALE ALTERNATIVO.



FINALE A

- Niente. Come me - rispose il Saggio

Stizzito il viaggiatore replicò, sfogando il proprio rancore sul povero vecchietto:

- ...e non poteva dirmelo prima di farmi lavorare due anni per mettere da parte i soldi per questo viaggio, prima di affrontare 17 ore di volo intercontinentale, scalare montagne dove nessuno era ancora arrivato, visitare luoghi che mai avrei visto in vita mia, mangiare del cibo non meglio identificabile che mai avrei provato, dialogare non so come con gente che non parla la mia lingua...

Li il viaggiatore si interruppe. Forse era vero, il viaggio era una cosa che lui stesso aveva deciso di intraprendere, ed era anche vero che non ricevere le risposte che si immaginava di poter avere dal saggio, lo aveva deluso; ma tutto quello che c'era stato prima di quella risposta inconcludente, il viaggio...quello non era stato poi così male. Forse il saggio si sbagliava. O forse era talmente saggio da non dargli una risposta secca, così come fosse un dogma, ma di portare il viaggiatore a darsi egli stesso la Risposta, motivandola, e facendola sua. Tutto sommato non andò male: il viaggiatore fece ciò che voleva fare, era giusto che lo facesse..ed alla fine tanto deluso non era.




FINALE B

- Niente. Come me.
- ah... ... Quell'eremo lì è libero?