mercoledì 29 luglio 2009

Murphy conosceva la mia famiglia

Legge di Murphy. Assolutamente niente di nuovo. Fa anche ridere, forse è terapeutico citarla proprio nei momenti in cui qualcosa che speravi potesse andarti bene e, coerentemente con suddetta legge, andato male. Certo, per apprezzarla in una situazione del genere bisogna essere forniti di una modesta quantità di humor, autoironia e amore per il grottesco.
C'è un momento in cui tale legge, nonostante la mia ampia fornitura delle qualità sopracitate, mi risulta davvero insopportabile: l'applicazione preventiva. Trasformare la legge in un esempio concreto. Sperando quasi che, controvertendo la legge stessa, quel qualcosa vada certamente male. Esempio pratico. Mangiare un piatto di pasta alla norma indossando una maglietta bianca e captare con l'orecchio destro la seguente enunciazione "cambia maglietta, altrimenti la sporcherai con il sugo". Altro esempio: entrare in casa dopo un piccolo scambio di opinioni con la maniglia bisognosa di un'abbondante spruzzata di svitol, ed essere raggiunti da tale avvertimento "dobbiamo cambiare questa maniglia, altrimenti resteremo chiusi fuori". Probabilmente nell'istante in cui la salsa di pomodoro toccherà la maglia bianca dopo un doppio salto e mezzo ritornato carpiato del maccherone sfuggito alla forchetta, potrei pentirmi di non aver prestato attenzione a quell'ammonimento. Di certo lo rimpiangerò il giorno in cui dovrò scegliere se chiamare i vigili del fuoco per sfondare la porta di casa o reinventarmi topo di appartamento nel tentativo di forzare una finestra. Ma al momento preferisco vivere a cuor leggero, ed immaginarmi davanti la porta di casa con la maniglia in mano e la maglietta macchiata di pomodoro.

domenica 12 luglio 2009

Una vera meraviglia

-E’ una cosa che mi sarà capitata tre, quattro volte al massimo. La prima non la ricordo… probabilmente è dovuto al fatto che ancora non sapevo riconoscerla. Ma è una sensazione meravigliosa! Quasi vorrei poterla evocare a comando, anche se così perderebbe gran parte della sua meravigliosità! A te è mai capitato? – Il rischio di non ascoltare il proprio interlocutore, ma soprattutto il rischio di farsi scoprire, si corre quando ci viene posta una domanda. -Ehm… n-no credo di no- Cinque o sei secondi di smarrimento avrebbero smascherato chiunque, ma evidentemente N., a sua volta, non badava a cosa potesse dire chi gli stava di fronte.

-Aprire gli occhi, e non sapere nulla. Una vera meraviglia! Non mi rendo conto di quanto tempo passo in quello stato, probabilmente si tratta solo di alcuni secondi, ma talmente intensi da sembrare decine di minuti. Smarrimento totale. Ma nessun tipo di panico. Semplicemente mi sveglio, guardo il soffitto e so di non sapere niente. La prima cosa che mi viene in testa è di chiedermi dove mi trovo. Guardo il soffitto, non ho nessun riferimento. La penombra non mi aiuta: potrebbe essere tarda notte o le 6.30 del mattino. Chissà perché, non sposto lo sguardo, non cerco niente di familiare che possa aiutarmi a ricordare. Mi godo (inconsciamente) quegli istanti in cui potrei essere ovunque ma soprattutto potrei essere qualsiasi cosa, perché non ho nessun tipo di coscienza. E’ assolutamente meraviglioso! Non sento il corpo, non guardo niente di particolare… immagino sia lo stesso che si prova quando si viene al mondo. In quei momento non hai la minima idea di cosa ti capiterà da lì a qualche secondo. Hai presente i dejà vu? Quando ti succede di ritrovarti in una situazione che ti pare di aver già vissuto. La spiegazione più plausibile è che si stia compiendo un gesto che si fa spesso ed il nostro cervello ricorda un'esperienza assolutamente simile e ce la ripropone. Ecco che ci pare di vivere una cosa che abbiamo già vissuto, perché tecnicamente è in parte vero. In quel caso, personalissima mia abitudine, tendo ad assecondare i miei ricordi: se sto parlando con qualcuno, riferisco ciò che ricordo di aver già detto ed attendo con curiosità l’evolversi dell’evento per verificare se è tutto come lo ricordavo. Ed ammetto che meravigliosamente, è spesso così. Quindi... il dejà vu nasce dal fatto di vivere qualcosa che ha già vissuto. Quindi la presenza di elementi di riferimento è assolutamente indispensabile a far nascere questa sensazione. Ecco… ora pensa all’opposto! Se invece non ne hai nessuno, di riferimento? Ecco che non sai nemmeno chi sei! Non ti sto annoiando, vero? –

-No, figurati… - rispose P., che aveva prestato attenzione ad una parola ogni dieci che venivano catapultate fuori dalla bocca del suo amico. Nel frattempo si stupì di quanto potesse essere interessante l’etichetta della sua Paulaner. Una combriccola di stereotipati bavaresi che se la spassano tra i campi ed i monti, trangugiando boccali di weiss. E che accuratezza nei dettagli. P. pensò che probabilmente non l’aveva mai nemmeno guardata. E dire che qualcuno lavorerà per progettare queste etichette. Grafica, disegni o scritte varie che quasi nessuno degnerà di attenzione. N. aveva già ripreso a parlare

- Sai che altro c’è di strano? Appena, purtroppo, ti ricordi chi sei e dove sei, quella meravigliosa sensazione di smarrimento, non riesci più a provarla… è un vero peccato. Ti dicevo, mi è capitato raramente perché, requisito principale necessario al verificarsi di questo evento, ormai sono sicuro che sia così, è il ritrovarsi in un posto che non conosci. Proprio perché serve non avere dei punti di riferimento noti. Niente che ti torni agevolmente in mente e che ti ricordi che sei, per esempio, nella tua camera. Tant’è che questa sensazione di “dolce smarrimento” l’ho sempre vissuta in occasioni in cui non ho dormito in casa mia. Poi devi sapere che… -

P. non ascoltava più, oramai. Si chiese se fosse legale usare la parola “meraviglia” e ogni sua possibile variante così tante volte in un solo discorso. Di certo si sarebbe informato, ed in caso non avrebbe aspettato più di due secondi a denunciare l’abuso di cui il suo orecchio era stato testimone . Non era sua abitudine restare indifferente a certe violenze lessicali.

P. ed N. si congedarono. La birra era finita, il monologo probabilmente sarebbe potuto proseguire, ma l’ora era ormai tarda.

Durante il breve tragitto che separava il suo solito pub da casa, P. ripensò a quanto ascoltato prima. Per quanto annoiato, aveva seguito distrattamente il discorso, quel tanto che basta per non farsi cogliere impreparato. Procedeva a spasso svelto, l’umidità della sera aveva avuto la meglio sulla voglia di non fare subito ritorno a casa. Camminando, si ritrovò a chiedersi che comportamento era solito assumere le volte che gli capitava di vivere un dejà vu. Assecondava anche lui gli eventi o faceva di tutto per mettere i bastoni tra le ruote alla prevedibilità. Non se lo ricordava. Forse gli capitava talmente di rado da non avere il tempo di reagire. Semplicemente lasciava scorrere via gli eventi, per poi rendersi conto di aver vissuto quella strana sensazione che, chissà come mai, tutti si ostinano a chiamare “dejà vu” e non “già visto”. Non andava bene ugualmente chiamarla col proprio nome, per così dire, tradotto? Decise che l’indomani avrebbe di certo approfondito l’argomento.



Ore 07.15. Puntualissima ed incorruttibile, la sveglia cominciò a fare il suo lavoro. Mai una volta che decidesse di venirgli in contro e concedergli due minuti di sonno in più. Anche se quel giorno sarebbe stato un gesto di gentilezza sprecato. P aveva preceduto la sveglia. Se solo di qualche istante o di molti minuti non era in grado di stabilirlo, fatto sta che il suono cadenzato e ripetitivo lo colse meno di sorpresa del solito. Dirigendosi verso il bagno per le consuete abluzioni mattutine, quasi rovinò su uno dei cartoni contenente un genere non meglio identificato di cianfrusaglie. Le sue cianfrusaglie che ancora dopo tre settimane dal trasloco, non aveva avuto modo di riporre da qualche parte. Anche se il problema non era da poco: oggetti kitsch e ricordi di viaggi difficilmente trovano una loro ragionevole collocazione in una casa. Ma non era quello il momento per mettere in ordine il suo appartamento: stranamente il suo capoufficio non aveva simpatia per i ritardatari. Giunto in ufficio, P. notò subito un post-it viola che faceva bella mostra di se sulla sua scrivania. Non era firmato. Ma due elementi non lasciavano spazio a dubbi su chi fosse il mittente del messaggio. Tra i suoi colleghi solo uno usava post-it di quell'irritante variante cromatica e soprattutto non risparmiava punti esclamativi. Il messaggio era di N.. Il caso volle farli rincontrare giusto in quell'ufficio, dopo che trascorsero i 5 anni di liceo come compagni di classe. Non era cambiato di una virgola, N. Quando un anno prima, lo vide mettere piede nell'edificio e prendere posto alla sua nuova scrivania, più o meno tutto il palazzo venne a sapere che erano stati compagni di liceo. Perché N. si entusiasmava facilmente. E con altrettanta facilità esternava la sua gioia. P. non riusciva a capire se la capacità di entusiasmarsi anche per la più piccola novità fosse un tratto odioso del carattere del suo amico o se non fosse addirittura una caratteristica da ammirare. Il biglietto diceva solo: “Alle 22 al pub. Devo raccontarti una cosa meravigliosa!!!!!!!”