sabato 29 novembre 2014

L'ultima e la prima.

Cercando di mettere ordine tra negativi e scansioni, rovistando tra i ricordi e cercando di alimentare certe passioni che sembrano sopite ma che più che altro sono sommerse da altri pensieri, mi sono imbattuta in due fotografie. É passato ben più di un anno da quando sviluppai questo rullino, il mio solito e fidato Efke100. Si tratta del primo rullo di prova della Pentacon Six TL, quindi ancora non sapevo se la macchina fosse affetta dal problema tipico di questo modello, ovvero il difetto di trascinamento che porta i fotogrammi ad accavallarsi. Avevo fatto delle prove con il dorso aperto trascinando solo la carta protettiva di un rullo e sembrava che i fotogrammi fossero distanti giusto un paio di millimetri, ma ancora non sovrapposti. Ricordo un giorno in cui ero arrivata al 14esimo scatto (il contapose arriva fino a 24, per i rulli 220), quindi pensavo che ormai il rullo fosse finito, ma visto che non avevo ancora confidenza con la macchina, scattai  ugualmente e via.. non ci pensai più. Soprattutto perché trovai il tempo di sviluppare il rullino solo dopo parecchi mesi. Tanti, probabilmente troppi. Così capitò che nel magico momento in cui, con gesto rapido, si estrae la pellicola dalla spirale della tank e il cuore è sempre un po' un subbuglio perché è quello il momento in cui si ha la certezza che tutto sia andato bene in fase di sviluppo, i miei occhi caddero su una foto in particolare; e in quell'istante il cuore fu più che in subbiglio. Stesi la pellicola e osservai la foto. Eccola lì, era lei: l'ultima foto in assoluto che ho scattato a Spillo; ero certa non avrei avuto molti mesi per scattargliene altre ma non sapevo che questa sarebbe stata l'ultima. Era nella sua cuccia, in balcone. Ultimamente ero io che lo portavo fuori a fargli prendere un po' d'aria e di sole, perché a lui piaceva ma ormai era anziano e non sempre trovava le energie per uscire all'aperto. Erano già passati mesi da quando non c'era più. E fu strano pensare che quella sua immagine fosse stata lì per tanto tempo, sospesa. La fotografia è anche questo. Però a volte sa essere ancora di più. Guardando le altre foto, che erano molto ravvicinate ma non sovrapposte, mi resi conto che erano più di dodici. C'era la tredicesima e, assurdamente, anche una quattordicesima foto. Non era intera, diciamo circa due terzi di un fotogramma normale, perché la pellicola era giustamente terminata. Si trattava proprio della foto che credevo di aver scattato a vuoto e invece c'era. Ed era la foto di un cane che avevo trovato vicino casa, appena un paio di settimane dopo la dipartita di Spillo. Era in assoluto la prima foto che ho scattato a Boris. Non si chiamava ancora Boris, e non avevo idea di cosa sarebbe stato di lui.
L'ultima e la prima foto, sullo stesso rullo; cose da fotografia analogica. 



mercoledì 3 settembre 2014

John, chi?



La Repubblica lo chiama addirittura per nome. Quando in realtà non sa si chi sia, quando non c'è nemmeno la certezza che si tratti del medesimo folle che ha elargito la stessa sorte all'altro giornalista americano, alcuni giorni fa. Poi però contestualmente pubblicano articoli nei quali indagano sul perchè certi giovani, anche europei, sia avvicinino al pensiero jihadista: non gliene frega niente della Jihad! L'unica cosa che conta oggi più che mai è la visibilità. L'egocentrismo è sempre esistito, ma adesso viene alimentato dalla possibilità di avere realmente un pubblico globale. Gli emulatori sono coloro che vengono raggiunti da un evento. Se quell'evento rimane confinato in zone limitate, il numero di persone con problemi psichici che possono immedesimarsi nell'evento o semplicemente decidere di fare qualcosa di eclatante imitando qualcun'altro, è anch'esso limitato. Se oggi condividiamo ogni singolo evento a livello mondiale, di conseguenza si amplia a dismisura il pubblico e il numero di possibili emulatori. Che a loro volta sapranno di essere conosciuti in tutto il mondo. John. John che tiene virtualmente in scacco addirittura il presidente degli Stati Uniti. Così si alimenta la speranza di qualcuno di non essere dimenticato, anzi di essere conosciuto ovunque col suo nome, di poter lascere un segno. E non importa per quale motivo.

mercoledì 12 marzo 2014

Y.

Due mesi? No, forse tre. Non lo ricordo più, quindi comunque troppo tempo dall'ultima volta che ho osato svegliare dal suo letargo l'ukulele. Che in letargo poi sembra non esserci nemmeno andato, lui; in letargo semmai c'ero io. Yukino è addirittura ancora perfettamente accordato: re, la, fa#, si. Una canzone di Neil Youg ascoltata oggi per la prima volta, un capotasto, gli accordi «inventati» al momento...