giovedì 9 dicembre 2010

Nessuna fiducia...

...a Berlusconi.

http://www.avaaz.org/it/no_fiducia_governo_berlusconi?fp

Proviamo a fare qualcosa per mandarlo a casa (sarebbe meglio in carcere, ma andiamo per gradi)

domenica 5 dicembre 2010

PDL e Zecchino d'Oro - Per la vita

Se solo alcune delle madri di questi politicanti avessero potuto abortire...

sabato 10 luglio 2010

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Io sono una scatola di fiammiferi. Uno dietro l'altro, sfavillanti nel crepitio della loro nascita, indomiti e magici da sembrare irripetibili, ve ne andate. Uno dietro l'altro. C'è chi si consuma più in fretta e chi nasce così sfortunato da morire proprio nel tentativo di veder la luce. Uno dietro l'altro. Dell'inutile cenere ed il vuoto nella scatola non lasciano dubbi. Nessuno di voi poteva essere una candela.

giovedì 15 aprile 2010

Lettera ad un regalo mai dato

Dall'angolo buio di un cassetto ti chiedi come mai non ti sei mai più mosso da lì. Cosa ne sarebbe stato di te se il destino fosse stato solo uno zinzino meno reale e un pizzico più romanzato. Forse avresti solo cambiato mobile, casa e città e saresti comunque finito nel fondo di un cassetto soffocato da maglie di lana o da cianfrusaglie. Le ipotesi non servono a niente tuttavia, perché giaci ancora lì dove sei sempre stato. Se la cosa può rincuorarti ti bisbiglierò un piccolissimo segreto: non sei il solo. Fai parte dei regali mai dati. Negli anni siete aumentati perché siete figli di un'abitudine che ha messo radici parecchio tempo fa, e che le ha messe davvero bene se sono qui a parlarne. Siete il frutto dei miei entusiasmi, del mio piacere di condividere, della mia voglia di dare vita ad una piccola sopresa. Detto così sembra che i regali li faccia più per me che per gli altri.. ma non è la gratificazione che mi ha mai interessata; se fosse stato così sareste già stati tutti regalati. Al contrario, il fatto per cui siete rimasti allo stadio embrionale è che mi siete sembrati eccessivi, a volte. Non volevo riconoscenza o mettere in imbarazzo il destinatario. Esagerati nel valore affettivo e non in quello economico. Alcuni di voi erano destinati anche a semplici conoscenti verso i quali di certo non c'era un affetto radicato. E forse proprio questo vi rendeva eccessivi: eravate probabilmente sproporzionati per determinati livelli di rapporti umani. Non sono tipo da fare regali a destra ed a manca, ma gli amici prima di diventare tali sono solo conoscenti, e se percepisco in un conoscente qualche tipo di affinità, a volte mi lascio trasportare. Proprio per questo ho rischiato di recente di ritrovarmi un mandorlo fiorito in balcone, a far compagnia al mio Mandorlo. Però ultimamente mi contengo. Mi duole dirtelo, ma tu e gli altri come te mi mettete tristezza. Perché siete quasi sempre l'esempio tangibile di qualcosa che credevo di vedere, è che invece era solo un miraggio. Alcuni di voi sono rimasti con me per strani motivi, altri sono stati consegnati con epico ritardo. Pochi, pochissimi sono stati utilizzati; pur sapendo che non sarete più il regalo di nessuno, non vi ho mai usato. Sparpagliati tra le mie cose siete rimasti libri mai sfogliati, stilograiche che non hanno mai scritto una sola lettera, note intrappolate su cd, pipe mai fumate, foto mai appese o stupidi ninnoli che non hanno mai conquistato il loro posto su un mobile tra altri inutili soprammobili. Mi spiace un pò per voi, ma mi spiace ancora di più per me. Spero di essere coerente e di fare di te l'ultimo di questa sfortunata stirpe.

Salutami quel dinosauro fatto col Das con cui condividi l'angolo del cassetto.

Flo

martedì 30 marzo 2010

Forse giallo, azzurro e lilla.

Vorrei una casa. Una casa con le pareti colorate. Vorrei ogni stanza con le pareti di colore diverso, così da poter scegliere quale guardare il base al mio stato d'animo. E dentro ci vorrei i vecchi mobili che avevamo nella casa di campagna. Un tavolo reduce degli anni '60 col ripiano in formica rosso ed il bordo di metallo e le sedie in tinta, ma tutte con una sfumatura diversa in base a quanto sono rimaste esposte al sole. Vorrei un cane ed un gatto. Un gatto di strada che viene da me solo quando ha fame o voglia di coccole; e da lui vorrei imparare a fare le cose solo quando mi vanno davvero. Sarà un gatto che non accetterà mai una carezza in più di quelle che vuole davvero, nonostante sia io a sfamarlo. In fondo non c'è niente di male a comportarsi così se si è sinceri e si mette subito in chiaro cosa si è disposti a dare ed a ricevere. Vorrei un cane che non ha bisogno di guinzaglio e collare. E non vorrei considerarmi la sua padrona, ma la sua coinquilina. E da lui vorrei imparare quel tipo di amicizia che ti fa sorridere con gli occhi alla sola vista dell'amico. L'amicizia in cui l'affetto riesce a mitigare qualsiasi tipo di screzio, in cui niente sarà mai così grave da farti passare il sorriso. Ed in questa casa vorrei almeno una finestra di quelle in cui ti puoi sedere sul davanzale. Vorrei potermi sedere lì per leggere un libro mentre il sole coi sui raggi trafigge i vetri, me ed il libro. Vorrei sedere lì a guardare le gocce di pioggia che si rincorrono sul vetro in una notte tempestosa. Vorrei star in ginocchio sul quel davanzale guardando giù in strada, irrequeita nell'attesa dell'arrivo di un mio ospite. Vorrei un vaso di gerani rossi ad adornare l'esterno della mia finestra. E nella monotonia di una distratta città qualsiasi, la mia finestra sarà contenta di scoprirsi diversa da tutte le altre, così tanto che nessuno essere sensibile potrà fare a meno di notarla.


Vorrei non dire più che "vorrei". Almeno non così tanti e non tutti di seguito. Ho già una parete verde acqua. Ora devo solo scegliere altri 3 colori.


p.s. se stai provando ad immaginare quella casa, pensala come la immagino io: una finestra su un tardo pomeriggio primaverile, obliqui raggi luminosi che regalano a tutti i colori una morbida e calda sfumatura che sa di buono, di serenità e che si apre su una stanza a modo suo ordinata, bizzarra, non convenzionale, che ha in sé tanti stili senza che nessuno risulti mai fastidioso con l'altro. Una fumante tazza di thé nero sta raffreddandosi sul tavolo che è più rosso che mai, grazie alla luce arancione del sole che sbadigliando sembra tirare su di se l'orizzonte come se fosse una coperta. L'assenza di colori delle foto alle pareti sarà ampiamente riscattata dal resto degli oggetti di casa. Tepore. E poter pensare, aprendo la porta d'ingresso: "finalmente a Casa"

mercoledì 17 marzo 2010

I.V.V.


Un tetrapack di tavernello e una bottiglia di cabernet. Non sono gli artefici di una ubriacatura, ma i protagonisti della mia ennesima metafora. Quando non pensavo o meglio, non immaginavo come poterne venirne a capo, ecco che la chiave è arriva da un po’ di vino; e non è servito nemmeno berlo. Questo si che è “in vino veritas”.


Perché se si vuole credere all’idea di straordinario serve imprescindibilmente arrendersi al concetto di ordinario. Ed accettarlo tutt’altro che mal volentieri, perché è per merito suo e solo se prendiamo come premessa la sua esistenza, che è possibile proiettarsi verso lo straordinario.

giovedì 4 marzo 2010

Human watching

Uno sguardo, un gesto, un sorriso, una smorfia. Il modo di sfogliare un libro, di guardare gli altri o di tamburellare sul volante aspettando che il disco verde del semaforo si illumini. Io guardo. Gli altri. A volte esco, non ho nulla da fare, ed allora guardo. Non è morbosa curiosità ma semplice voglia di vedere persone. Ed allora mi ritrovo ad osservare chi condivide con me il chiassoso vagone della metropolitana, o la persona incolonnata nel traffico accanto alla mia auto. Perché la parte più interessante di tutte è vedere la gente quando è davvero naturale, quando non pensa che qualcuno la guardi. Allora una persona che aggrotta la fronte mentre legge il giornale, mi incuriosisce. Chi, aspettando l’arrivo dell’autobus alla sua fermata non si limita a mantenere lo sguardo fisso su un punto neutro del marciapiede affollato e magari si guarda attorno, mi colpisce. Osservare il gesto di un gentile automobilista qualunque che sorride al pedone che aspettava diligente sulle strisce pedonali che qualcuno arrestasse la sua corsa. E notare lo sguardo vuoto ed al tempo stesso irritato di un altro guidatore che non avrebbe fatto la stessa gentilezza, e che si trova costretto a rallentare. E a volte inaspettate belle espressioni si dipingono su volti comuni, che in quel momento smettono di essere tali. Visi oggettivamente non belli, che si illuminano. Facce oggettivamente gradevoli, che restano spente. Ed io osservo, mi stupisco di vedere qualcosa di interessante quando non me lo aspetto. E questo mi piace. A volte talmente tanto che mi verrebbe voglia di scambiare due chiacchere con chi ha avuto l’occasione di colpirmi. Al contempo mi capita di non ricordare alcuni volti. Persone che vedo anche spesso e con cui scambio qualche parola, ma così insignificanti che inconsciamente mi rifiuto di sprecare memoria per ricordare i loro tratti somatici. Ad esempio, ci sono un paio di vicini di casa che semmai dovessi descriverli, mi limiterei a dire che hanno due occhi, un naso ed una bocca. Forse anche delle orecchie, forse. Una cosa che mi capita, raramente, è di reincontrare le persone. Intendo gente che ho notato per strada. Lui lo vedo forse giusto un paio di volte l’anno. Anzi vedo dei lunghissimi dreadlocks ed una Bmw GS 1000 degli anni ’90, bordeaux. Sarà per la moto stagionata, per i selvaggi dreads, ma questa persona mi ispira simpatia. Questa volta l’ho visto fermo al semaforo, sempre in sella alla Bmw insieme ad un bambino con un casco di capelli biondi (avesse avuto un vero casco, il sig. Dreads avrebbe perso meno punti simpatia). L’ho osservato per pochi secondi, giusto il tempo di vedergli dare un bacio sulla testa del biondissimo bimbo. Il bacio che solo un papà può dare. E l’espressione corrucciata che avevo fino a quel momento è tramontata, in favore di un sorriso. La prossima volta potrei salutarlo.

martedì 16 febbraio 2010

Tronky


Ogni tanto metto ordine tra le mie cose. Per la precisione mi ritrovo a dissotterrare, osservare con tenerezza ed a fluttuare tra i ricordi che i più disparati oggetti che conservo riescono a riportare a galla, e poi tutto torna al proprio posto.

Si tratta di un’operazione "ricordo" molto fine a se stessa, di solito. Ed è un evento cui do vita sempre più di rado. Mi accorgo di custodire sempre meno oggetti. Si, perché da un po’ sfuggo dagli oggetti, gettoni che mettono in funzione le giostre, che potrebbero capitarmi tra le mani quando non sono stata io a pianificare il giro al luna park. E’ un peccato, forse. Sia chiaro che non getto via niente, nessun autoscontro o ruota panoramica si troverà il cartello “fuori servizio” appeso al suo cancelletto. Ma certe cose vanno vissute con parsimonia. Diciamola tutta, meglio non farsi un giro su una vorticosa giostra che ti strapazza con la sua forza centrifuga subito dopo aver mangiato. Però mi è capitata una cosa osservando alcuni libri. Libri per bambini, di quelli che dire minimali è poco: font 24 e disegni che sembrano pitture rupestri. Ne ho una intera collana che descrive in maniera discutibilmente realistica la vita degli animali: quello sulla volpe era il mio preferito. Mi piacciono le volpi, in genere. Libri quadrati, dalla copertina bianca; di una bellezza tanto semplice quanto appagante. Li sfoglio consapevole del fatto che ricorderò pagina per pagina tutto, come se fino al giorno prima quel libro fosse stato la mia lettura serale. Un'altra copertina attira la mia attenzione; anzi i libri sono due, di una collana differente, per bimbi più grandi che pretendono di più. La fattoria ed il circo. Sono tutta un'altra cosa, roba di lusso, per buongustai dell’intrattentimento. Disegni con animali assolutamente verosimili nei quali mi perdevo tra gli infiniti dettagli, tant’è che ogni volta scovavo una farfalla su un fiore o un bruco che facevano capolino da un angolo di un disegno e che, giuro, non c’erano mai stati prima. Inoltre come dimenticare l’assurdo libro di Topolino con una marionetta del celeberrimo topo dalle orecchie sproporzionate che sbuca da ogni pagina, forata al centro. Sono cresciuta con questi volumi. Di quelli con le copertine rigide, cartonate, formato A4; un formato di stampa forse caduto ormai in disuso. La cosa che ha reso particolare il periodico giro al luna park è stato l'aver letto, per la prima volta, l'ultima pagina di uno di questi libricini. La pagina dove c'è scritto dove è stato stampato ma soprattutto quando è stato finito di stampare il libro. Millenovecentosessantotto, è riportato dietro al più vecchio di tutti, quello che narra le avventure dell’orso. Ripensandoci mi viene in mente che i volumi li avevo ereditati dai figli di in cugino di mio padre. Così come il camper di Barbie, quello arancione e giallo, precedente alla svolta total-pink della formosa biondina di plastica (voglio tranquillizzare tutti quelli che mi conoscono dicendo che io non giocavo con le Barbie, mi limitavo a fare manovre di parcheggio col camper), quel modello che in effetti trovavo reclamizzato sui miei vecchi Topolino da collezione, quelli che avevano più anni di me. Mettendo un po’ d’ordine mi sono resa conto di essere cresciuta (in altezza poco) con modelli, idee, colori che non fanno parte della mia generazione. Aver assimilato certe informazioni in anni fondamentali in cui la personalità è ancora una massa informe da plasmare, credo che sia una cosa che non può non lasciare il segno. Ero una bambina di 4 anni che sfogliava libricini già maggiorenni. Sono un pò come i Tronky. No, non croccante fuori e morbida dentro; ma giovane fuori e vecchia dentro.

lunedì 8 febbraio 2010

Dopo il gelo.

...
Da questo momento in cui il mondo circostante parve disciogliersi intorno a lui, in cui egli rimase abbandonato come in cielo una stella solitaria, da questo momento di gelo e di sgomento Siddharta emerse, più di prima sicuro del proprio Io, vigorosamente raccolto. Lo sentiva: questo era l'ultimo brivido del risveglio, l'ultimo spasimo del nascimento. E tosto riprese il suo cammino, mosse il passo rapido e impaziente, non più verso casa, non più verso il padre, non più indietro.

Siddharta (Hesse)

p.s. Quando un libro di sconquassa...

lunedì 1 febbraio 2010

Non è da tutti trovare sempre un titolo.


Non è da intrepidi affrontare una tigre, se la tigre è narcotizzata.

Non è da pazzi giocare alla roulette russa, se le pallottola è a salve.
Non è da temerari fare una scommessa, se la gara è truccata.
Non è da coraggiosi attraversare un campo minato, se si seguono le orme altrui.
Non è da adulti dichiararsi fuori dagli schemi, se poi si seguono le regole del mercato.
Non è da onesti dire di essere soddisfatti di ciò che si ha, se ciò che si ha è l'unica cosa che si è stati in grado di procurarsi.
Non è da amici dire quello che una persona vuole sentirsi dire, se non è quello che si pensa.

Non è da gente comune riuscire ad essere ciò che si vuole essere, se il mondo che ci sta intorno è così ottuso da guardare solo un lato delle cose.

venerdì 29 gennaio 2010

Perturbazione

lunedì 25 gennaio 2010

CCR



It's just a thought
But i've noticed somethin' strange,
Gettin' harder to explain;
All the years are passin' bye and bye,
Still i don't know what makes it go;
Who said to wait and you'll see?

It's just a thought

But i wondered if you knew
That the song up there is you.
They can't take it from you

If you don't give it away;
Don't give it away; ooh (it's given away.)

It's just a thought
But the word has come too late
That a bad idea will take
Just about a lifetime to explain,
And don't you see,
Good one's gonna be much longer;
Who's gonna wait, just to see?

John Fogerty

venerdì 22 gennaio 2010

La Spia che non spiava (quindi la lancetta che non lanciava) ...


Tanto per cambiare c’è di mezzo una macchina. Anzi un’automobile, per essere precisi. E ovviamente ci sono di mezzo anche io. Che ci posso fare se ci sono in ballo sempre le cose che mi interessano e che occupano i miei pensieri? Ricapitolando: ci siamo io, un’auto ed una strada. Mai immaginata una strada così eterogenea e dai cambi così repentini. Un momento è piena di curve e mi diverto un mondo a percorrerla, il momento dopo si trasforma in un monotono rettilineo dal manto stradale dissestato che mi costringe a procedere piano: noia e fastidio. Poi di nuovo un vorticoso susseguirsi di curve e chicane che mi piace affrontare in scioltezza e per quanto più impegnative, si rivelano divertenti come non mai e i chilometri percorsi così pesano molto meno di quelli che mi tocca fare nei rettilinei. La macchina va bene, sento che risponde subito ai comandi e l’ultima cosa che potrei immaginare è che possa mai guastarsi qualcosa. In fondo, per quanto costruita bene e con soluzioni poco comuni e di alto livello, è pur sempre un’auto semplice. Non ha bisogno di troppe attenzioni e cure. Ha solo un piccolissimo problema. Una sola lancetta che non si muove, una sola spia che non si accende. L’indicatore della benzina. Quello si, è guasto. E non ho modo di sapere quanto carburante ci sia ancora, riserva compresa. Mi chiedo se poi davvero cambierebbe qualcosa sapendolo. Non mi piace programmare troppo le cose, quindi non sarei il tipo da preparare un diario di viaggio con soste e tutto il resto. Rimane il fatto che non so quando finirà, né tantomeno se sarò molto distante dalla più prima stazione di servizio, quando ciò inevitabilmente accadrà. Niente ACI, soccorsi stradali e simili, non ho mai investito molto in quel campo. Fa niente… farò come sempre da sola. Scenderò dall’auto e mi metterò a spingerla. Prima o poi un’insegna luminosa con una conchiglia o uno strano animale con qualche zampa di troppo - forse mutazioni dovute alle esalazioni della benzina che sta sempre lì ad inalare – faranno capolino da lontano, avvertendomi che sono quasi arrivata. E semmai qualcuno strada facendo si imbatterà in me e vorrà darmi una mano, forse potrò accettare. Ma solo la sua compagnia, non il suo aiuto. L’auto la spingerò sempre e solo io. C’è soltanto una cosa che mi permetto di augurarmi: che non mi capiti di dover affrontare una salita.


lunedì 11 gennaio 2010

Finto come la realtà.

Una non meglio precisata frazione della città di A. Ore 15.20 circa. Il grigio domina la scena. Una curiosa figura crea scompiglio tra i vialetti del giardinetto rompendo la loro monotona geometricità. Si staglia retta proprio al centro del viottolo. Cappello calcato in testa, quasi fino a coprire gli occhi. Il cappotto ben chiuso e una sciarpa avvolge il collo con più di un morbido abbraccio. Fa freddo, ma non tanto da impedire alla figura di stare lì immobile. Unico segno di attività il fumo denso che sbuffa ritmicamente dal suo sigaro. Guarda da una parte, nell'insipido silenzio che regna a quell'ora di domenica. Pare di poter quasi sentire il cigolio delle iperattive e forse non tutte perfettamente funzionanti rotelle che girano in quella testa.
A cosa sto pensando? Al fatto che c'è qualcosa che non va. Strade larghe e nuove, piste ciclabili, marciapiedi puliti, arredo urbano immacolato e più o meno verdi cortili ai piedi di ogni palazzina. Sembra davvero tutto perfettamente a misura d'uomo. Sulla carta, forse. Idealmente lo sarebbe. Ma dal vero è assolutamente finto. Il gioco di parole non voluto, descrive la sensazione che sia tutto falso o meglio non naturale. Le inespressive palazzine a schiera, mi intristiscono. Sono spente, grigie anche se dipinte di qualche tonalità pastello. Le guardo e non posso fare a meno di immaginare quegli appartamenti ammobiliati con degli impersonalissimi e non esattamente esclusivi mobili ikea. (non ho capito quando sia diventato di moda avere qualcosa di super economonico e semplice che tutti possono avere. Una sorta di socialismo dell'arredamento che proprio comprendo). Poi immagino piano piano le figure che li abitano. Grigie anche loro. Vedo gente che passa i suoi fine settimana nei centri commerciali, tra cinema da 20 sale, ipermercati, mc donald's e sushi bar. Poi magari mi sbaglio, ma intanto immagino questo. E lo trovo vagamente sfiancante. Si perché ho sempre pensato che più a nord si stesse meglio. Mentre io qui non ci vorrei mai stare. E' solo una mia impressione, la mia prima impressione. E sono sempre disposta a cambiare idea, se ne ho motivo. Ma intanto mi fido delle mie sensazioni. La strada è deserta. Non ho incontrato nessuno, se non conto l'unica un auto di passaggio ed una scapestrata foglia secca che se ne va in giro per i marciapiedi umidi. Riflettendoci, ecco cosa è davvero stranissimo: il fatto che non si senta neppure un uccellino cinguettare o un cane abbaiare, né tanto meno il contrario. Una vera noia. C'è davvero qualcosa che non va, e non solo in questa non meglio precisata frazione della città di A.


domenica 3 gennaio 2010

R.D.L. (Radio Delirio Lessicale)



Un feroce mal di testa non mi fa dormire. E se anche riuscissi ad addormentarmi, probabilmente verrei svegliata dal rumore causato dal vento, o dalla cagnolina della vicina. La sento piangiucchiare (la canuzza, non la vicina) e mi accorgo che, lo dico termini tecnici, mi vengon fuori gli occhi a cuoricino e penso "ma povera ducina canuzza teneruzza.." e cose così. E' il mal di testa, mi dico. Ma non è vero... molto semplicemente divento più scema del solito quando si tratta di cani. Accendo la radio. Io accendo sempre la radio quando non riesco a dormire la notte. So che potrei vedere via web cam il traffico del centro di Città del Messico in tempo reale, grazie ad internet: magie della tecnologia. Ma dove abito io, la radio riesce a prendere si e no sei stazioni. Escluse le due emittenti che propinano musica dance, radio3 (musica classica? non può essere che radio3), un professore che parla di qualche argomento che non riesco a cogliere, nonostante si avverta chiaramente che lui è un professore, mi ritrovo per forza di cose ad ascoltare radio r.t.l. o r.d.s., non ricordo. Si sente che ai due speaker importa solo di uscire da quello studio insonorizzato il prima possibile, ma la musica è sopportabile. Fino a quando decidono di smentirmi mandando in onda una canzone di Ramazzotti. Butto via gli auricolari nemmeno fossero diventanti incandescenti e spengo la radio. Peccato perché a me piace la radio. Mi piace soprattutto la notte. In nottate così, quando il sonno sta già arrivando e la musica fa solo da sottofondo ai miei pensieri, penso spesso che mi piacerebbe lavorare in radio. Ma di notte. Ed allora inizio a pensare a chi, insonni a parte, starà ascoltando la radio a quell'ora. E faccio sempre lo stesso collegamento. Penso a chi sta viaggiando in auto, ai camionisi, agli autisti dei pullman. E di conseguenza penso alle stazioni di servizio, quelle aperte tutta la notte. Quei non luoghi che non dormono mai. Posti dove passano centinaia di persone.E per quanto li trovi a modo loro dei posti squallidi e senza anima, mi vien voglia di essere lì. Quando andai a Roma in pullman scendevo praticamente ad ogni stazione di servizio, ed io ed uno dei miei compagni di viaggio che come me non riusciva a resistere al fascino grottesco di questi posti, ci guardavamo a vicenda come se fossimo altre persone. Come se facessimo parte di qualche segreta congregazione dei frequentatori notturni di autogrill. Ad ogni fermata compravamo qualche tavoletta di cioccolata o pacco di biscotti, di quelli che non trovi in nessun'altro supermercato. Che viene da pensare che ci sia un mercato parallelo di prodotti per autogrill, di leccornie la cui vendita è misteriosamente vietata all'infuori dalle autostrade.

Quello che ho scritto non mi pare di grande interesse, né particolarmente piacevole da leggere, ma sono le 3.57 ed il feroce mal di testa, visto che non riesco a dormire, continua a volermi tenere compagnia; ma com'è caro lui! Credo che queste righe abbiano poco senso, ma ne avranno ancora di meno a leggerle alla luce del sole. E non intendo dire che chi si troverà a leggerle, dovrà farlo di nascosto, ma sarebbe meglio e forse aiuterebbe vagamente la comprensione, dedicarsi alla loro lettura in piena notte. Ma poi mi chiedo.. chi è vorrebbe davvero tentare di comprendere quello che scrivo? Questo è solo puro delirio lessicale. Ed a me piace.