martedì 30 marzo 2010

Forse giallo, azzurro e lilla.

Vorrei una casa. Una casa con le pareti colorate. Vorrei ogni stanza con le pareti di colore diverso, così da poter scegliere quale guardare il base al mio stato d'animo. E dentro ci vorrei i vecchi mobili che avevamo nella casa di campagna. Un tavolo reduce degli anni '60 col ripiano in formica rosso ed il bordo di metallo e le sedie in tinta, ma tutte con una sfumatura diversa in base a quanto sono rimaste esposte al sole. Vorrei un cane ed un gatto. Un gatto di strada che viene da me solo quando ha fame o voglia di coccole; e da lui vorrei imparare a fare le cose solo quando mi vanno davvero. Sarà un gatto che non accetterà mai una carezza in più di quelle che vuole davvero, nonostante sia io a sfamarlo. In fondo non c'è niente di male a comportarsi così se si è sinceri e si mette subito in chiaro cosa si è disposti a dare ed a ricevere. Vorrei un cane che non ha bisogno di guinzaglio e collare. E non vorrei considerarmi la sua padrona, ma la sua coinquilina. E da lui vorrei imparare quel tipo di amicizia che ti fa sorridere con gli occhi alla sola vista dell'amico. L'amicizia in cui l'affetto riesce a mitigare qualsiasi tipo di screzio, in cui niente sarà mai così grave da farti passare il sorriso. Ed in questa casa vorrei almeno una finestra di quelle in cui ti puoi sedere sul davanzale. Vorrei potermi sedere lì per leggere un libro mentre il sole coi sui raggi trafigge i vetri, me ed il libro. Vorrei sedere lì a guardare le gocce di pioggia che si rincorrono sul vetro in una notte tempestosa. Vorrei star in ginocchio sul quel davanzale guardando giù in strada, irrequeita nell'attesa dell'arrivo di un mio ospite. Vorrei un vaso di gerani rossi ad adornare l'esterno della mia finestra. E nella monotonia di una distratta città qualsiasi, la mia finestra sarà contenta di scoprirsi diversa da tutte le altre, così tanto che nessuno essere sensibile potrà fare a meno di notarla.


Vorrei non dire più che "vorrei". Almeno non così tanti e non tutti di seguito. Ho già una parete verde acqua. Ora devo solo scegliere altri 3 colori.


p.s. se stai provando ad immaginare quella casa, pensala come la immagino io: una finestra su un tardo pomeriggio primaverile, obliqui raggi luminosi che regalano a tutti i colori una morbida e calda sfumatura che sa di buono, di serenità e che si apre su una stanza a modo suo ordinata, bizzarra, non convenzionale, che ha in sé tanti stili senza che nessuno risulti mai fastidioso con l'altro. Una fumante tazza di thé nero sta raffreddandosi sul tavolo che è più rosso che mai, grazie alla luce arancione del sole che sbadigliando sembra tirare su di se l'orizzonte come se fosse una coperta. L'assenza di colori delle foto alle pareti sarà ampiamente riscattata dal resto degli oggetti di casa. Tepore. E poter pensare, aprendo la porta d'ingresso: "finalmente a Casa"

mercoledì 17 marzo 2010

I.V.V.


Un tetrapack di tavernello e una bottiglia di cabernet. Non sono gli artefici di una ubriacatura, ma i protagonisti della mia ennesima metafora. Quando non pensavo o meglio, non immaginavo come poterne venirne a capo, ecco che la chiave è arriva da un po’ di vino; e non è servito nemmeno berlo. Questo si che è “in vino veritas”.


Perché se si vuole credere all’idea di straordinario serve imprescindibilmente arrendersi al concetto di ordinario. Ed accettarlo tutt’altro che mal volentieri, perché è per merito suo e solo se prendiamo come premessa la sua esistenza, che è possibile proiettarsi verso lo straordinario.

giovedì 4 marzo 2010

Human watching

Uno sguardo, un gesto, un sorriso, una smorfia. Il modo di sfogliare un libro, di guardare gli altri o di tamburellare sul volante aspettando che il disco verde del semaforo si illumini. Io guardo. Gli altri. A volte esco, non ho nulla da fare, ed allora guardo. Non è morbosa curiosità ma semplice voglia di vedere persone. Ed allora mi ritrovo ad osservare chi condivide con me il chiassoso vagone della metropolitana, o la persona incolonnata nel traffico accanto alla mia auto. Perché la parte più interessante di tutte è vedere la gente quando è davvero naturale, quando non pensa che qualcuno la guardi. Allora una persona che aggrotta la fronte mentre legge il giornale, mi incuriosisce. Chi, aspettando l’arrivo dell’autobus alla sua fermata non si limita a mantenere lo sguardo fisso su un punto neutro del marciapiede affollato e magari si guarda attorno, mi colpisce. Osservare il gesto di un gentile automobilista qualunque che sorride al pedone che aspettava diligente sulle strisce pedonali che qualcuno arrestasse la sua corsa. E notare lo sguardo vuoto ed al tempo stesso irritato di un altro guidatore che non avrebbe fatto la stessa gentilezza, e che si trova costretto a rallentare. E a volte inaspettate belle espressioni si dipingono su volti comuni, che in quel momento smettono di essere tali. Visi oggettivamente non belli, che si illuminano. Facce oggettivamente gradevoli, che restano spente. Ed io osservo, mi stupisco di vedere qualcosa di interessante quando non me lo aspetto. E questo mi piace. A volte talmente tanto che mi verrebbe voglia di scambiare due chiacchere con chi ha avuto l’occasione di colpirmi. Al contempo mi capita di non ricordare alcuni volti. Persone che vedo anche spesso e con cui scambio qualche parola, ma così insignificanti che inconsciamente mi rifiuto di sprecare memoria per ricordare i loro tratti somatici. Ad esempio, ci sono un paio di vicini di casa che semmai dovessi descriverli, mi limiterei a dire che hanno due occhi, un naso ed una bocca. Forse anche delle orecchie, forse. Una cosa che mi capita, raramente, è di reincontrare le persone. Intendo gente che ho notato per strada. Lui lo vedo forse giusto un paio di volte l’anno. Anzi vedo dei lunghissimi dreadlocks ed una Bmw GS 1000 degli anni ’90, bordeaux. Sarà per la moto stagionata, per i selvaggi dreads, ma questa persona mi ispira simpatia. Questa volta l’ho visto fermo al semaforo, sempre in sella alla Bmw insieme ad un bambino con un casco di capelli biondi (avesse avuto un vero casco, il sig. Dreads avrebbe perso meno punti simpatia). L’ho osservato per pochi secondi, giusto il tempo di vedergli dare un bacio sulla testa del biondissimo bimbo. Il bacio che solo un papà può dare. E l’espressione corrucciata che avevo fino a quel momento è tramontata, in favore di un sorriso. La prossima volta potrei salutarlo.