sabato 24 dicembre 2011
lunedì 5 dicembre 2011
Il Sig. _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _

Vento. Un signore con un cagnolino. Avanzo per alcuni metri. Ci sono due banchetti di ferro e legno, che un tempo credo fossero quelli del venditore di zucchero filato. Ci giro intorno, li studio per capire se ha senso fotografarli e mi si avvicina un signore, piuttosto anziano e trasandato che è arrivato a bordo di una vespa vecchia e trasandata tanto quanto lui. Si avvicina ad uno dei banchetti e mi saluta con un buongiorno che suona tanto simile ad un "Io sono il proprietario di questi affari, non ti autorizzo a fotografarli". Rispondo al saluto e mi allontano con indifferenza e senza fretta, come se in effetti avessi deciso che non valeva la pena di fare foto. Mi avvicino alla palazzina. Dedico un paio di scatti a due costruzioni basse che si trovano sulla destra dell’edificio principale. Tornando sui miei passi per raggiungere l’auto, passo inevitabilmente davanti a quel vecchietto che armeggiava sui banchetti "signorina, ma che voleva fare una foto?" "uhm..si" "faccia pure". Lo ringrazio e mi riavvicino al più grande dei due banchetti. Solo che adesso non mi attira più. Forse ho anche fatto finta di scattare o ho scattato davvero una foto, giusto perché non voglio sprecare la sua disponibiltà. Il tizio, un signore molto modesto, inizia a raccontarmi della sua vita; del fatto che sta smontando i banchetti perché il comune non vuole che stiano lì, e del fatto che anni fa lui gestiva un trenino situato poco più avanti nel parco., una semplice giostra, che poi gli è stata sequestrata. Poi mi racconta che praticamente non ha più una casa, perché la moglie (una donna che ha sposato dopo tanti anni di convivenza) appena ha potuto si è impossessata dell’immobile, cacciandolo. Che l'hanno mandato via dal posto dov'era in affitto perché volevano vendere il magazzino e lui non era ovviamente in grado di comprarlo dal momento che chiedevano una cifra oggettivamente fuori mercato. E poi altri aneddoti vari, tanti.. uno dietro l’altro, senza prendere fiato. Per quanta amarezza ci fosse, non ho visto rabbia ma nemmeno rassegnazione nelle sue parole. Mi tiene a parlare pure sotto la pioggia. “signorina, non la voglio trattenere qui, che sta per piovere” e poi comincia subito con un altro racconto. La tettoia di uno dei baracchini in parte mi ripara dalla pioggia. Quando ormai è diventata troppo intensa, lo saluto, gli do la mano presentandomi, lui mi risponde dicendomi il suo cognome, ma non sono sicura averlo capito. Quando mi parlava, mi guardava negli occhi, ma quando ha ricambiato il saluto ed ha biascicato il suo cognome, ha guardato in basso. Corro verso la macchina. Ora sta ufficialmente piovendo. Asciugo le macchine fotografiche e le lenti degli occhiali. Sono circa le 12 e decido di tornare a casa, ho da cucinare il ragù. Mi immetto in strada, piove con una certa costanza adesso. Ripasso davanti alla Casina Cinese, e quel signore è ancora lì che tenta di smantellare una delle poche cose che ancora gli sono rimaste.

martedì 29 novembre 2011
domenica 20 novembre 2011
mercoledì 12 ottobre 2011
mercoledì 5 ottobre 2011
Attenzione: questa immagine potrebbe urtare la vostra sensibilità

Mi tocca ammettere che Emilio ha un bel fisico. É proprio vero che più sono belli e più sono stupidi.
Il trota è l'eccezione che conferma la regola.
sabato 24 settembre 2011
I neutrini col GPS in giro per l'Europa
http://ilmetapapero.files.wordpress.com/2011/09/ministero_cern.png?w=614&h=365
martedì 6 settembre 2011
Antipodi
sabato 30 luglio 2011
sabato 9 luglio 2011
domenica 19 giugno 2011
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giovedì 16 giugno 2011
sabato 4 giugno 2011
martedì 24 maggio 2011
L'austera e cupissima Temagraph Soft Touch nera invece non è ancora stata spodestata. Dopotutto, come biasimarvi, povere matite? Se io fossi una di voi mi cancellerei dalla faccia della Terra, pur di non doverla affrontare.
giovedì 24 marzo 2011
Ai sivigliani piace/piacciono:
- gli schnauzer nani. Ne ho contati almeno cinque, più un sacco di altri cagnolini striminziti, quali cocktail di yorkshire e chiuahua, chiuaua e yorkshire, chiuahua e chihuahua, yorkshire e yorhkshire, chihuahua/yorskshire e chihuahua, e tutte le altre combinazioni possibili. Avvistati pochissimi cani che possano essere oggettivamente definiti tali.
- rompersi gli arti superiori. Del perché ne abbia inziato a tenerne il conto, lo spiego un’altra volta, ma ho conteggiato almeno 7 persone con un braccio appeso al collo. Unendo questa osservazione con la precedente, sono arrivata alla conclusione che i sivigliani abbiano bandito i cani di taglia grande perché portandoli a passeggio i quattrozampe li strattonavano così forte da causare danni, e quindi ora tutti preferiscono avere degli esemplari di cani peso mosca.
- mangiare cibi fritta. Gli piace fin troppo.(Detto che chi viene dalla città “panino con panelle a merenda”, fa un certo effetto). Colazione con churros (buoni, buonissimi, ma quasi intangibili. Sono solo un pretesto per friggere qualcosa.). Pranzo e cena con patatine fritte e tapas; tapas che erano (almeno per il 40% nel mio caso) guardacaso fritte.
- bere birra. Ma quasi esclusivamente Cruzcampo.
- i prosciutti. Capisco che si tratti di un prodotto tipico, ma fare colazione in un bar con un prosciutto di Damocle che penzola minaccioso sulla tua testa, può essere traumatizzante.
- le arance. Anche solo guardarle. Tant’è che gli onnipresenti aranci lungo le strade erano sempre carichi di frutti che nessuno però raccoglieva. Piccoli soli incadescenti che illuminavano le strade più dei lampioni.
- rompersi gli arti inferiori. Vedi sopra. Avvistati 5 mono gamba.
- la lingua spagnola. Anche facendo domande in inglese, tutti rispondevano solo in spagnolo. Ma va bene così, in fondo han ragione.. è davvero una bella lingua.
sabato 19 marzo 2011
giovedì 3 marzo 2011
venerdì 18 febbraio 2011
A Sandro

Devo un grazie a Botticelli, perché ha avuto l’inconsapevole merito di aver spazzato via senza rispetto il mio entusiastico (fin troppo entusiastico per essere credibile) proclama semestrale di essere diventata confortevolmente insensibile.
Ma cominciamo dall’inizio, così come si aspetta che sia. Sto trotterellando da un’opera all’altra nella galleria degli Uffizi. Ho già passato le prime sale, quelle dedicate alle opere di Giotto e Cimabue (che più che una vera ammirazione, hanno suscitato in me un sentimento di tenerezza nei loro confronti); ho anche attraversato la sala dove, con mio stupore subito seguito da delusione, vengo a conocenza che un’opera di Paolo Uccello che ho sempre ammirato non è visibile perché sottoposta a restauro. E dire che nemmeno ricordavo fosse esposta lì... ma questo non basta a smorzare il mio disappunto. Proseguo la visita rallegrandomi della presenza del celebre dittico di Piero della francesca che rappresenta Federico da Montefeltro e Battista Sforza. Cosa mi attraeva di questo dipinto? Il naso del Conte. Per parecchio tempo mi domandai perché non ne avesse addolcito l’assurda conformazione. Solo qualche tempo dopo scoprii la motivazione ma ormai il danno era fatto: conoscevo l’opera più o meno a memoria. Ho continuato la visita mostrando insofferenza per la quantità di opere di Filippino Lippi, quando tutto ad un tratto, iniziano a mostrarsi a me dei dipinti di Botticelli. Con noncuranza, quasi con incoscenza, oltrepasso l’uscio che divide due sale e subito sulla sinistra un’assembramento di persone accalcate davanti ad un ingombrante quadro protetto da uno spesso vetro, non può fare a meno che attirare la mia attenzione. Intuisco appena la presenza de “la nascita di Venere” e mi costringo a distogliere lo sguardo per non rovinarmi la vista del quadro, raggiungendolo dalla posizione defilata in cui mi trovo. Mi volto rapidamente verso la parete che si trova alle mie spalle e mi lascio scappare, spero sufficientemente sottovoce, un’esclamazione forse un pò troppo colorita che qui riporterò come “perdindirindina!”. Alzo lentamente lo sguardo sull’immensa tela che mi sovrasta e mi stordisce a colpi di colori vivaci e di linee morbide. Mai vista in vita mia. L’autore è sempre lui, Botticelli. La pala di San Barnaba (intuile cercare immagini su internet, non perché non se ne trovino, ma nessuna rende minimamente l’idea di come sia questo quadro dal vivo). Nemmeno mi accorgo che ci sia l’onnipresente Maria col bambino, la mia attenzione è tutta per i pesanti drappi di velluto, per i marmi sullo sfondo e per la figura di san Michele. Un viso ed un’espressione non descrivibili, che ti fanno solo sperare che l’autore non abbia usato un modello per quel personaggio, perché in fondo non vuoi credere che una tale bellezza possa essere stata umana e di conseguenza umanamente destinata a sfiorire. Torno in me dopo aver notato una delle “guardie” (non so se definirle tali.. in realtà non so come si chiamino gli impiegati dei musei che non fanno altro che star seduti in un angolo della sala a guardare per terra con lo sguardo perso in chissà quali pensieri) che si accosta al piccolo corrimano che tiene distanti le persone dai quadri. Forse mi son avvicinata troppo, o forse son rimasta troppo tempo pietrificata lì davanti, nemmeno avessi visto la Medusa in squame ed ossa e probabilmente voleva solo accertarsi che fossi ancora cosciente. Balzo all’opera successiva un pò imbarazzata quasi mi avessero scoperta con “le mani nella marmellata”. Osservo distrattamente gli altri quadri, forse sempre di Botticelli o forse no, finché un’altra monumentale opera mi afferra prepotentemente e mi costringe a sedermi di fronte a lei ad osservarla: si tratta di un trittico davvero imponente di un certo Van der Goes. Si tratta del trittico Portinari. E anche in questo caso le immagini reperibili su internet non fanno il loro dovere. Dal vero quel quadro è totalmente soffocante: i volti accigliati dei contadini, il bambinello che più che adagiato al suolo dopo la nscita, sembra caduto in terra per caso. I colori sono spenti ma pieni. Non è bello nel senso moderno del termine, perché è tutt’altro che gradevole. Ma al contempo si capisce che non è nemmeno stato volutamente creato così inquientante. E l’insieme di questi controsensi, al mio sindacabilissimo giudizio, lo rende davvero emozionante. Liberatamenti dalla morsa di quest’opera, guardo gli altri quadri ripercorrendo il perimetro della sala consapevole di avvicinarmi sempre più a ciò che sto aspettando. Sembra un gioco di corteggiamento: so benissimo che gli altri non mi interessanto, io punto a lui.. ma per rimandare ancora di più l’incontro, pur sapendo che sarà gradevolissimo, mi concedo degli sguardi in giro, crogiolandomi nell’attesa che a volte riesce ad essere ancora più prodiga di emozioni dell’evento stesso. Ed è qui che succede quello che non mi aspetto. Non avevo dimenticato solo la presenza del quadro di Paolo Uccello. Ne ho scordato uno ben più celebrato. E mi ritrovo davanti a lui totalmetne disarmata, vis-à-vis. La reazione non è immediata, mi serve qualche secondo per realizzare. Indietreggio un paio di passi per guadagnare una visione d’insieme migliore, mentre riesco benissimo ad accorgermi del sorriso che mi si sta disegnando sul volto. Gli occhi diventano più lucidi. Ma non verso nemmeno una lacrima. La mia non è commozione. La sensazione che provo è più simile alla più sincera gioia che si può provare ritrovando dopo tanto tempo un amico dimenticato. Ho sempre preferito “La primavera” alla “Nascita di Venere”, ma non immaginavo a tal punto.
Visto che ci sono, vorrei anche ringraziare l’inglese che ho incrociato sul pullman Firenze/Pisa perché mi ha dimostrato che esistono ancora uomini affascinanti come James Dean. E ancor di più, che salgono le scale come Anthony Perkins.
domenica 2 gennaio 2011
Atto primo - scena terza
Là - ecco la mia benedizione.
E questi pochi precetti bada di stamparteli
nella memoria. Non dare lingua
ai tuoi pensieri, né un corpo a quelli
smoderati. Sii familiare ma non
volgare. Gli amici che hai, dopo averli
messi alla prova, piantali nella tua anima
con rampini d'acciaio. Ma non intorpidirti
le palme per salutare ogni gradasso
implume e appena nato. Guardati
dalle liti, ma una volta che ci sei dentro
bada che sia l'altro a guardarsi da te.
Presta orecchio ad ogni uomo ma la tua voce
a pochi. Accogli il parere di tutti
ma riservati il tuo giudizio...
...
Questo soprattutto: sii fedele a te stesso
e ne deve seguire, come la notte al giorno,
che non sarai mai falso con nessuno.
...
Polonio al figlio Laerte.
Amleto - Shakespeare