Un giorno una persona mi disse una frase che mi fece pensare: "accidenti..che cosa triste..ma davvero si può crederlo?". Lo stupore e l'espressione inebetita materializzatasi sul mio volto durarono poco. La mia stima per quella persona negli ultimi tempi aveva già subito un crollo secondo solo a quello della borsa nel '29, quindi la cosa non poteva turbarmi più di tanto. Pochi giorni dopo, sull'onda dei soliti discorsi esitenziali, un'altra persona dichiarò più o meno di credere allo stesso concetto. Qui rimasi a riflettere sulla vicenda un pò di più, non potendo trattenermi dal pensare di nuovo che fosse davvero un modo triste di vedere la vita. Al terzo interlocutore che affermò "nella vita bisogna accontentarsi", sono esplosa. Dopo aver ripulito per bene la mia stanza, son tornata a riflettere. Qualcosa non andava. E soprattutto mi colpì il fatto che ognuno aveva tirato in ballo questa teoria di sua spontanea volontà. Non c'era stato alcun accenno da parte mia. E la cosa peggiore è stato sentirlo dire all'ultimo dei tre, la persona che ritenevo e continuo a ritenere, più degna di stima.
La felicità sta nell'accontentarsi, mi hanno detto. Immagino che a vederla da un certo punto di vista potrebbe essere condivisibile: se si continua sempre a cercare altro, quello che si ha non basterà mai e si sarà sempre insoddisfatti. Ma (perché io ci vedo un ma) il piacere di raggiungere un obiettivo non si vede valutare? L'energia che potremmo riuscire a tirar fuori per raggiungere qualcosa, le idee che dovremmo inventarci, un pò di sana adrenalina da competizione e la soddifazione di avercela fatta, dove li mettiamo? E pur togliendo l'ultimo passo, ovvero la soddisfazione, perché ovviamente ci può stare di non riuscire a fare ciò che ci eravamo prefissati, il resto non conta? Una eventuale sconfitta non vale il tentativo di provarci? E il dispiacere di una sconfitta può essere tanto difficile da sopportare da non poter correre il rischio di provarci pur sapendo che il piacere della vittoria può essere immenso? Ed ancora... come faccio a sapere "quando" devo accontentarmi? Non trovo molte risposte. L'unica che mi viene in mente, ma più che una risposta è una motivazione alla scelta di accontentarsi è la seguente: ci si accontenta quando si ha bisogno di qualcosa. Se si ha bisogno di lavorare, ci si accontenta di un lavoro sottopagato. Ma una giustificazione del genere mi pare impossibile da applicare ad ogni sfaccettatura della nostra vita. Accontentarsi.. in tutto? Significherebbe che abbiamo bisogno di tante cose nella vita. Io invece penso che i bisogni nella vita siano quelli base.. quelli che ci permettono di sopravvivere. Per il resto è bello sentire di aver voglia di qualcosa di più. Non di averne bisogno. Se si vuole qualcosa, una cosa specifica, non ci si può accontentare della copia scadente. Se si vuole qualcosa, ci saranno necessità e motivazioni particolari che renderebbero l'accontentarsi di un'altra cosa, solamente simile al nostro obiettivo, ben più deludente del non riuscire a raggiungere l'oggetto del nostro desiderio. Tuttavia ho preso in considerazione una variabile da non sottovalutare: i 3 personaggi di prima, quelli che si accontentano, hanno accumulato sulle spalle alcuni lustri in più rispetto a me. Non so quanto questo possa incidere, se le delusioni accumulate nel tempo facciano diventare meno assetati di bellezza e felicità. Non lo escludo. E questa volta l'espressione inebetita e lo stupore impiegheranno qualche minuto in più ad andare via.
2 commenti:
Finalmente la tua meravigliosa testolina riesce a dipanare le sensazioni in parole.
Fatti (e fammi) un regalo: non smettere mai :)
no... non accontentarti, non smettere mai di inseguire le sensazioni e l'immaginazione.
I bisogni primari li abbiamo tutti, ma sono altre le cose che rendono la vita interessante e, di queste, te ne auguro una valanga per il 2010 (e non solo)!
Un bacio,
Francesco
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