In un piccolo tempio sperduto su una montagna, quattro monaci erano
in meditazione. Avevano deciso di fare una sesshin(1) di assoluto
silenzio.
La prima sera la candela si spense e la stanza piombò in una profonda oscurità.
Sussurrò un monaco: ” Si è spenta la candela! “.
Il secondo rispose: ” Non devi parlare, è una sesshin di silenzio totale “.
Il terzo aggiunse: ” Perché parlate? Dobbiamo tacere, rimanere in perfetto silenzio!”.
Il quarto, il responsabile della sesshin, concluse: ” Siete tutti stolti e malvagi, solo io non ho parlato! “.
(1) – Sesshin: periodo in cui gli adepti dello Zen fanno vita
comunitaria, nella concentrazione e nel silenzio, meditando, disputando,
partecipando a conferenze, mangiando insieme.
La tazza e il bastone. Storie Zen - Taïsen Deshimaru (traduzione Isabella Farinelli) - SE edizioni - 2003
lunedì 4 dicembre 2017
giovedì 27 luglio 2017
"Camminare nel paese dei ciechi.
Figura memorabile del gruppo sperduto nelle Ande, Nuñez viene accolto trascendentalista americano, Henry David, da una comunità i cui membri sono tutti Thoreau. É considerato una delle voci ciechi. Confuso dalla vita laboriosa e dai mi piace, commenta."
p.s. mi sono concessa giusto un punto che non c'era, una virgola in più e l'omissione delle ultime due parole.
Figura memorabile del gruppo sperduto nelle Ande, Nuñez viene accolto trascendentalista americano, Henry David, da una comunità i cui membri sono tutti Thoreau. É considerato una delle voci ciechi. Confuso dalla vita laboriosa e dai mi piace, commenta."
p.s. mi sono concessa giusto un punto che non c'era, una virgola in più e l'omissione delle ultime due parole.
mercoledì 5 aprile 2017
mercoledì 29 marzo 2017
La grande onda presso Kanagawa, dalla serie "Trentasei vedute del Monte Fuji" di Katsushika Hokusai.
Non mi è ancora ben chiaro il motivo per il quale adesso sia così celebre; in parte forse per merito della mostra allestita a Milano fino a gennaio scorso.
Io però mi vanto di conoscerla da prima che diventasse di moda. Non tanto, lo ammetto. Fino a qualche anno fa mi capitava ciclicamente di imbattermi in questa immagine: una volta sarà successo per merito di un sito sugli anime, un'altra volta per una riproduzione artistica in un laboratorio fotografico. Puntualmente sfoderavo le mie abilità di ricercatrice nella rete e senza fatica scoprivo il nome dell'autore e del quadro. Solo che con altrettanta facilità finivo per dimenticarli, fino all'incontro successivo. Ho questo problema coi nomi giapponesi e anche russi: se non mi alleno un po' non riesco a memorizzarli e forse addirittura a leggerli correttamente al primo tentativo, perdendomi rispettivamente tra abbondanti quantità di K, H e patronimici. Difatti mi servono solitamente una ventina di pagine per ricordare i nomi dei personaggi dei romanzi russi; nel caso de "il Dottor Zivago" anche di più.
In questo momento però sono in piena fase giapponese, e ricordare la giusta ortografia ed i nomi di Natsume Sōseki, Utagawa Hiroshige o Ryūnosuke Akutagawa mi sembra assolutamente naturale.
Tornando alla Grande Onda presso Kanagawa, per gli amici Onda di Hokusai, quando vidi per la prima volta un libro della SE con in copertina un dettaglio della xilografia, lo volli subito. Non ne conoscevo l'autore né avevo idea di cosa trattasse, ma conoscendo la casa editrice ero certa che qualitativamente sarebbe stato un buon libro. E poi la veste grafica color caffelatte sta benissimo con l'Onda.
La settimana scorsa ho finalmente iniziato a leggerlo. Avanzando tra le pagine, scopro che l'autore è stato contemporaneo di Sōseki, che viene addirittura definito Maestro
"La ruota dentata e altri racconti", è fondamentalmente un insieme di scritti autobiografici di un autore che non nasconde in alcun modo il proprio disagio (anche se in effetti i più significativi sono postumi). Akutagawa sembra in balia del mondo e impotente in mezzo alla forza dei suoi dubbi, così come i pescatori di Hokusai sono in balia del mare e impotenti in mezzo alla forza delle onde. Questa rivelazione mi colma di orgoglio riflesso per l'opera, giustificatamente scelta per la copertina. Un'opera che tanto mi ha sempre affascinata e che come per altre cose, che siano libri, canzoni o macchine fotografiche, sento di dover proteggere da esseri distratti o al contrario decantare a persone sensibili. Ma questa volta io sto tra il pubblico, e gioisco nell'aver trovato chi probabilmente ha avuto per Hokusai la stessa attenzione che avrei potuto avere io.
Ryūnosuke Akutagawa (1892-1927) - La ruota dentata e altri racconti - SE - 2003
sabato 14 novembre 2015
venerdì 17 luglio 2015
Road to...
Sveglia alle 05.15, ma alle 4.45 spalanco gli occhi, anticipando abbondantemente la sveglia, così come ogni volta in cui ci tengo a non fare tardi. E non ho proprio intenzione di arrivare tardi oggi, perché
alle 7.00 chiude il gate, e il mio volo parte alle 7.30 in direzione di Roma. Atterro con qualche minuto di anticipo ma Stefano è già lì ad attendermi insieme alla Mazda 6 nera messa a disposizione da Mazda Italia. Partiamo
subito ma il traffico, legittimo per una domenica estiva, ci rallenta. Per fortuna Stefano non si affida ciecamente al seppur affidabile navigatore e sceglie di entrare in autostrada; scelta azzeccata che ci permette di arrivare
a Manziana nei tempi previsti. Rivedo facce note, facce umane, conosciute anche loro poco meno di dodici mesi fa in occasione di un raduno serale proprio lì nelle vicinanze, ma mancano le altre facce, quelle meccaniche con gli
occhietti a mandorla che, senza offesa per nessuno, erano il mio vero obiettivo (e in fondo lo erano anche per gli altri umani). Ci spostiamo così in un altro parcheggio dove ci accolgono Andrea e otto giocattolini fiammanti.
Sono tutte lì: la mia amica Mazdaspeed, la cattiva BBR, la deliziosa NA red stock(!), la sportiva RS limited (quando è bella!), la spaziale B-Spec supercharger, l’austera V-Special e le M2: la signorile ed elegante 1002
e poi lei, la 1001, quella per cui fatico a trovare la parole. Era già deciso che avrei guidato lei, nonostante un anno fa mi fossi ripromessa che il mio battesimo della guida a destra sarebbe stato con la 1002; tuttavia
non posso dire di essere pentita della scelta. Entro in macchina e Andrea mi accenna brevemente che l’auto è dotata di immobilizer e mi spiega come disattivarlo. Mi siedo e vengo inglobata dal sedile che mi fa sentire un
po’ come i piloti dei «robottoni» degli anime giapponesi, che diventano parte integrante della macchina. Mi guardo un attimo intorno per rendermi conto che mi trovo lì per davvero, e per prendere le misure e l’occhio
con gli spazi che sono un po’ diversi da quelli della mia NA e non tanto per la macroscopica differenza della posizione di guida sulla destra, tanto per la mancanza del tunnel di plastica col portaoggetti (qui non è presente,
infatti il tunnel è elegantemente minimale, rivestito di moquette), per la presenza del roll bar e per gli specchietti retrovisori sottodimensionati.
Sto ancora ambientandomi quando vedo che pian piano gli altri stanno già
iniziando a uscire dal posteggio. Metto in moto, annaspo con la mano destra contro lo sportello alla ricerca di una leva del cambio che non troverò mai, mentre mi rendo conto di aver appena fatto la conoscenza con la manovella
per abbassare il finestrino. Respiro profondamente, e questa volta con la mano sinistra, ancora un po’ spaesata, ingrano la prima, e sempre con la mano sinistra, aziono quella che pensavo fosse la freccia, mentre invece
si rivela essere i tergicristalli e penso «annamo bene oh» (si, lo penso in romano perché mi bastano dieci minuti per farmi plagiare dagli accenti altrui). E infatti è andata bene. Dopo davvero pochi chilometri gli automatismi
sono già in ordine, mi sono chiarita con la frizione che stacca alta ma precisa e gestisco il cambio con sufficiente disinvoltura, mentre la sensazione di essere seduta «dalla parte sbagliata» non mi sfiora nemmeno; stando
sulla destra ho come ottimo riferimento la linea che delimita la carreggiata e mi sento rilassata. All’inzio sono molto concentrata sullo specchietto retrovisore per tenere d’occhio chi è dietro di me (solo la B-spec
e la Red) ma poi vengo rassicurata telefonicamente che Marcello (che guida la B-spec) conosce la strada e allora allento la tensione e mi dedico a me: ci sono io, riflessa sui vetri del bellissimo pannello della strumentazione,
c’è la scritta M2 incorporated sul pulsante del clacson che troneggia sulle razze a specchio del volante in pelle nera, c’è un lungo retrovisore centrale in metallo lucido che mi regala un’ampissima vista su quello
succede dietro, c’è un motore reattivo che viaggia meglio sulle marce alte, c’è la targa anteriore poggiata sul tappetino lato passeggero, e poi finalmente c’è una serie di curve, tutte affrontate dalla nostra carovana
a velocità modeste, ma già basta per provare una certa soddisfazione.
M2-1001 |
Dopo la breve sosta in cui ci rifocilliamo con abbondanti pasticcini, riprendiamo il viaggio e quasi subito ahimè entriamo in autostrada, per guadagnare
tempo. Finalmente possiamo anche fare qualche sorpasso, cosa che con la guida a destra è altamente sconsigliata sulle strade a doppio senso a causa della scarsa visibilità, e con questa incredibile NA mi diverto pure in
autostrada; mi ritrovo a sorridere compiaciuta e divertita e forse in fondo un po’ stupita di sentirmi così a mio agio. Non sono in ansia perché sto guidando la macchina di qualcun altro, anche se mi è chiaro che non
è nemmeno la mia di NA, ma nonostante questo sono rilassata. C’è caldo, molto, ma col lunotto aperto e i finestrini abbassati l’aria circola e non soffro. Il tempo e i chilometri volano via anche troppo velocemente
e ci ritroviamo nella piazza di Todi per l’ultima sosta; qui, durante la manovra mi ricordo che la 1001 non ha il servosterzo, ma è così che mi piace: sincera e senza fronzoli. Mancano gli ultimi 10 chilometri o giù di
lì e sebbene mi venga davvero difficile separarmi da lei, DEVO guidare anche la 1002, e così propongo lo scambio a Guido che, nonostante sia chiaro che sia totalmente rapito della più elegante delle NA, suo malgrado accetta.
Entro e mi lascio abbagliare dai cremosi interni, e rapire dalla bellezza degli occhi di pernice della radica del pomello del cambio e della leva del freno a mano (che per dovere di cronaca non sono originali, ma rifatti artigianalmente).
La sensazione è drasticamente diversa rispetto alla mia compagna di viaggio precedente: carrozzeria blu, interni color crema e tanta radica e ti senti subito Grace Kelly in «Caccia al ladro»; l’abitacolo è mozzafiato
e viene quasi voglia di guardare più lui che la strada, che purtroppo era ormai poca quella che ci divideva dall’ingresso di Miataland.
M2-1002 |
Dopo una stradina non troppo confortevole arriviamo a destinazione e l’entusiasta
carovana trova finalmente ristoro. Un buonissimo buffet, fragrante pizza e per finire salsicce di cinghiale chiudono il cerchio e ci fanno riacquistare le energie. Non manca nemmeno un tuffo in piscina (che nel mio caso somigliava
più al tuffo di un filtro di tea nella teiera con relativo ammollo) con vista su un panorama che si espande a perdita d’occhio sulla campagna umbra. La giornata adesso può definirsi completa. Non posteggio io la «mia»
NA nell’hangar perché colta da festoso altruismo ho proprio desiderio che qualcun altro la provi e se ne invaghisca anche solo la metà di quanto ho fatto io. Dopo la bellissima maglia ricordo (direi quasi maglia trofeo)
per tutti i partecipanti, ci tocca salutarci e rimetterci in cammino verso casa, che per me significa l’aeroporto di Ciampino. L’infaticabile Stefano riesce a portarmi in tempo e alle 22.30 sono sull’aereo con destinazione
Palermo, stordita dal resto dei altri chiassosi passeggeri. Potrei dire che il viaggio si conclude col mio arrivo alle 23.25, ma non è così. In questo momento, questo esatto in cui scrivo, sono passati cinque giorni dal mio ritorno
da Miataland, e le sensazioni che ho provato fanno ancora capolino tra i miei pensieri. Sono arrivata a dire che mi manca la guida a destra e che mi manca la M2-1001 e i suoi sedili. In effetti, come mi ha saggiamente fatto
notare un caro amico questo pomeriggio, non conta la durata del viaggio, ma la durata dei ricordi che ci portiamo dietro dopo un viaggio.
Miataland - Foto scattata da BSE50 |
sabato 6 giugno 2015
L'amico Zaph
Compiacere la propria mente con lo stupore misto alla soddisfazione
di trovare in un libro, del tutto inaspettatamente, la descrizione di
qualcosa o di qualcuno che si conosce, e che fino a quel momento non si
riusciva a descrivere con le parole giuste.
"Una delle difficoltà maggiori che aveva Trillian nel suo rapporto con Zaphod era riuscire a distinguere tra quando Zaphod fingeva di essere stupido perché non aveva voglia di pensare e voleva che qualcun altro lo facesse per lui, quando fingeva di essere ignominiosamente stupido per non far capire che effettivametne non capiva cosa stava succedendo, e quando invece era davvero stupido."
"Una delle difficoltà maggiori che aveva Trillian nel suo rapporto con Zaphod era riuscire a distinguere tra quando Zaphod fingeva di essere stupido perché non aveva voglia di pensare e voleva che qualcun altro lo facesse per lui, quando fingeva di essere ignominiosamente stupido per non far capire che effettivametne non capiva cosa stava succedendo, e quando invece era davvero stupido."
"Lui la
vita la aggrediva con un misto di ingenua incompetenza e di eccezionale
talento, e spesso era difficile capire dove finiva l'una e cominciava
l'altro."
Guida galattica per gli autostoppisti (The Hitchhiker's guide to the Galaxy -1980) - Douglas Adams
Guida galattica per gli autostoppisti (The Hitchhiker's guide to the Galaxy -1980) - Douglas Adams
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